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Cammino di Santiago: albergue, casa rural o una notte sotto le stelle?

Creato il 16 giugno 2011 da Unarosaverde

Cammino di Santiago: albergue, casa rural o una notte sotto le stelle?

Sul Cammino francese le tipologie di alloggio sono essenzialmente cinque.

La prima, quella scontata, è rappresentata dai classici  alberghi, dalle pensioni e dai lussuosi paradores: si dorme per un prezzo che va dai 30 euro in su per camera per notte. Non sempre, tra i paesini minuscoli che il cammino attraversa, è possibile scegliere questa sistemazione: a volte si ha l’impressione di trovarsi in mezzo al nulla e si resta allibiti quando, da dietro una curva, spunta un campanile circondato da quattro case e sormontato da un nido di cicogne. I vantaggi offerti da questo tipo di sistemazione (privacy, confort, pulizia garantita, una notte di sonno non disturbato dagli immancabili roncadores) devono essere soppesati con gli svantaggi: il costo e, soprattutto, la mancanza di condivisione del cammino con gli altri, non solo sulla strada, ma anche all’arrivo, quando le storie e le esperienze delle persone che incontri si intrecciano alle tue, nelle chiacchierate placide del pomeriggio di riposo. Il più famoso e antico parador di Spagna, l’Hostal dos Reis Catolicos, si affaccia davanti alla cattedrale di Santiago: antico ospedale dei pellegrini, oggi esclusivo albergo, da prenotare con largo anticipo!

Gli albergues privati sono il secondo tipo di  sistemazione che si può scegliere. Lungo il Cammino albergue è  sinonimo di ostello: camerate più o meno ampie, a volte stanze doppie e triple, bagni in comune, colazione spesso inclusa, per un prezzo che si aggira intorno ai 10 euro. Gli albergues privati, soprattutto quelli galiziani, accettano prenotazioni telefoniche anche uno o due giorni precedenti all’arrivo. Questa soluzione offre l’indiscutibile vantaggio di evitare ai pellegrini di farsi prendere dall’ansia del “troverò da dormire?” e di dover ricorrere a levatacce. In questi luoghi l’atmosfera è meno calda di quella che si respira negli albergues parrocchiali: alcune sono strutture ottime, altre sono più scadenti di quelle gestite dai volontari. Fino in Galizia, quando ho potuto, ho scelto di pernottare negli albergues parrocchiali o comunali mentre, per gli ultimi centotrenta chilometri, ho optato per questo tipo di soluzione privata, prenotando telefonicamente il letto: la ressa di agosto sull’ultimo tratto era eccessiva ma, di sicuro, nessuno dei posti in cui ho dormito dopo il Cebreiro rimane nei miei ricordi più cari.

In ogni caso, se si arriva prima delle 13.00, un posto lo si trova sempre anche negli albergues parrocchiali e comunali, che rappresentano la terza e la quarta opzione. Il prezzo oscilla dalla richiesta di un donativo a piacere ai cinque euro: le strutture sono più spartane, la pulizia di base è comunque garantita, ci si ritrova molto spesso a dover condividere la cucina. E’ normale, la sera, improvvisare cene comunitarie multietniche e, spesso, bellissime. E’ a questi tavoli, tra questi stanzoni, che ci si ritrova essere umani affaticati in mezzo ad altri umani stremati quanto noi: è qui che, di solito, avvengono gli incontri più significativi. L’albergues di Burgos, inaugurato nell’agosto 2008, è favoloso: ci ho dormito nella prima settimana di apertura. Dal punto di vista funzionale è impareggiabile: soluzioni modernissime, un poco di tecnologia, colori chiari, perfino un poco di privacy. Il mio spirito pratico da ingegnere ha preso freneticamente appunti mentali. Tra questi ostelli ce ne sono alcuni, lungo tutto il cammino, gestiti da un gruppo di volontari: Tosantos, Granon, El Acebo sono quelli in cui ho dormito e il cui calore rimarrà tra le mie memorie più care. Qui la partecipazione comunitaria è gradita e invogliata. Come ho scritto qui, la dimensione religiosa del cammino non è stata per me prioritaria però, dato che avevo letto testimonianze su come fossero gestiti questi ostelli, mi ero incuriosita e non sono rimasta delusa. Prendi ciò di cui hai bisogno e lascia ciò che puoi, è questo che leggi a Granon, albergue ricavato sul soppalco della chiesa. Non si riferisce solo ai pochi euro che scivolano nella scatola come donativo, ma a quanto di noi stessi abbiamo bisogno di ricevere dagli altri e a quanto siamo disposti a dare. In questi albergues a fine giornata, chi vuole, può riunirsi per la meditazione della sera: la matrice degli incontri è cristiana ma ho visto partecipare atei e persone di altre religioni perché tutti, con il tempo lungo a disposizione tra un passo e l’altro, ci ritrovavamo a ragionare sul senso delle cose e a desiderare il confronto. L’esperienza più bella in assoluto, per me, è avvenuta a El Acebo, posto che assomiglia moltissimo alle mie montagne: l’hospitalera dell’albergue Apostol Santiago era Geraldine, anzi “Geraldine del Mundo”, come si definiva, visto che aveva vissuto in mezza europa e aveva origini italiane, francesi e spagnole, era al suo primo giorno come volontaria, aveva parcheggiato il suo vecchio Westfalia giallo dietro la chiesetta, sprizzava gioia ed entusiasmo, mischiava qualche colore di new age a gentilezza e cuore infinito. Al tramonto, dopo una cena cucinata da una ragazza coreana e costellata di risate e storie, ci ha trascinato a pochi metri dalla porta di ingresso, sotto la croce, con un panorama mozzafiato affacciato sui monti. Mentre calava la notte, ognuno di noi, a voce o col pensiero, per i più timidi, nella propria lingua madre, senza bisogno di traduzioni, ha espresso, con poche parole, cosa la giornata  di fatica aveva rappresentato. Geraldine ha offerto ad ognuno una farfallina di carta, pescata a caso da un vaso: su ogni farfallina c’era una parola diversa, il suo regalo  e augurio per noi. Non vi svelo cosa c’era sulla mia ma era una delle cose che chiedevo per me stessa, e si sta pian piano realizzando. Mi resta il rimpianto di non aver dormito all’albergue di San Nicolas, nelle mesetas, gestito dalla confraternita degli hospitaleros del Centro italiano di Studi Compostellani di Perugia. E’ un albergue molto particolare, per il modo in cui è gestito e per l’aria che vi si respira. Ci sono passata dalle parti del mezzogiorno e l’odore del caffè della moka era irresistibile. Tutti si fermano davanti alla porta di San Nicolas: gli hospitaleros hanno le braccia aperte e la chiacchiera italiana a cui soccombono tutti, statunitensi perplesse comprese. Sono entrata a salutare e a chiedere il sello per la credencial ma ho stoicamente rifiutato il caffè: stavo cercando faticosamente di resistere senza e una tazzina mi avrebbe rovinato la disintossicazione forzata.

La quinta ed ultima sistemazione, non testata personalmente anche se, almeno una volta, mi piacerebbe farlo, consiste nel trovarsi un luogo tranquillo, tra i campi di grano, non avere paura e stendere il sacco a pelo direttamente sopra la terra e sotto il cielo stellato e dimenticarsi totalmente, per una sera, del gran casino del mondo.


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