Una delle ultime opere di van Gogh è il Campo di grano con corvi, del luglio 1890, realizzata poco tempo prima del suicidio e giudicata dalla critica il suo “testamento spirituale” e si presta a rappresentare, anche attraverso la descrizione di seguito il tema trattato. Cupa è l’atmosfera. L’artista infatti non vede futuro per la sua esistenza immediata, anche se la sua anima continua ad ardere di un fuoco divoratore. Il campo di grano è così mosso che sembra una foresta in fiamme, in cui strade vuote, che portano verso l’ignoto, cercano di farsi largo e su cui volteggiano tristi presagi: i corvi neri appunto, che sembrano arrivare come avvoltoi su un cadavere. La strada è senza via d’uscita perché i campi, che esprimono i valori rurali del passato, nulla possono contro i nuovi valori borghesi, rappresentati da un cielo che pare un oceano in tempesta, in cui il chiaro si mescola allo scuro confondendo ogni cosa. In mezzo a questo cielo tenebroso macchie bianche indistinte, misticheggianti, sembrano voler indicare gli astri o nuvole minacciose, ma in realtà raffigurano la solitudine dell’artista, ripiegato su se stesso.
Il campo di grano è l’elegia di uno sconfitto. La strada infatti non porta da nessuna parte ed è virtualmente percorsa da una persona, l’artista, che non sa dove andare, né cosa cercare. Da notare che prima di realizzare il quadro, van Gogh era andato a far visita al fratello Theo che viveva a Parigi ed era rimasto scosso per le difficoltà professionali di lui e per la salute cagionevole del nipotino Vincent. Qualche giorno dopo aver finito l’opera, van Gogh scriverà l’ultima lettera a Theo, in cui dirà espressamente che la sua morte avrebbe posto fine al travaglio della famiglia del fratello: le sue opere sarebbero aumentate di valore e Theo – insieme alla moglie e al figlioletto Vincent – avrebbero potuto condurre una vita migliore (purtroppo anche Theo si ucciderà sei mesi dopo). Insomma Van Gogh – se guardassimo l’aspetto contingente della sua esistenza – si sarebbe ucciso prendendo questa nota familiare come occasione per realizzare l’ultima missione della sua vita: lui che non era riuscito, in vita, a realizzare alcunché di socialmente utile, pensava di farlo da morto. In realtà l’occasione è solo un pretesto, in quanto è tipico dei folli trovare delle motivazioni etiche al proprio agire disperato. In filosofia pensiamo agli esempi di Kierkegaard e Nietzsche.
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