Camus, ovvero colui che ha riconosciuto e accettato la debolezza dell’uomo come un valore, spiegandoci che si è tanto più coraggiosi quanto più consapevoli di essere disarmati.
Leggere uno scrittore come Albert Camus può essere un’occasione speciale per confrontarsi con molte cose che esistono e resistono nel profondo della mente e che spesso la coscienza non vuole esprimere. Così è stato per me e chissà per quante altre persone: scoprire, pagina dopo pagina, piccoli pensieri che muovono verso una strada diversa da quella battuta di solito; e lentamente arrivare in luoghi talmente vicini a noi da essere stupiti di non aver già visitato prima.
La Trilogia dell’assurdo è più che letteratura, più che filosofia, un’opera dalla forza inaudita per la semplicità con cui delinea l’esistenza dell’uomo. Un’esistenza che ne Lo Straniero e Il mito di Sisifo si manifesta in una luce antica: l’uomo è estraneo al Mondo anche se, per necessità o per paura, lo ha reso “umano” e si è abituato a viverci dentro.
Ecco una cosa molto interessante: non è il Mondo ad essere irragionevole, bensì lo siamo noi che cerchiamo di assoggettarlo ai pochi schemi che la mente ci permette di comprendere. Camus riprende e rinforza quanto già detto da Pascal per trovare le cause di questo malinteso: ci si abitua a vivere prima ancora di abituarsi a pensare. Questa costanza è forse il modo con cui la mente si difende dall’inquietudine che prende spazio quando, come per cortocircuito, ci si accorge di essere persi nei propri “passatempi”, di mancare più di qualcosa di importante. Ma è solo un attimo, si piega in quattro il foglietto dove risiedono questi timori e si scende di nuovo a vivere la vita come di consueto.
Per quanto ci si possa tener lontani da tutti i pregiudizi morali e sociali, ognuno di noi subisce in maniera passiva l’influenza di questi preconcetti sulla nostra persona, fino ad essere condizionati in ogni decisione. Ci si abitua presto e si concentrano sforzi sempre più grandi nel guadagnare denaro, mentre si dimentica di perseguire con la stessa determinazione la propria felicità. “L’uomo non fa nulla per l’eterno” perchè in considerazione di ciò che succederà fra duemila anni la nostra vita è sensibilmente ridimensionata e risulta essere composta in modo tale e quale a tutte le esistenze future e passate. Ed è qui che lo scrittore esprime il suo interesse per gli uomini ribelli, coloro i quali hanno avuto il coraggio di non ignorare che la vita è priva di avvenire. Così negli anni ’40 l’esistenzialismo comincia a godere di una eco mai avuta prima.
Caligola chiude nel migliore dei modi la trilogia dell’assurdo: una delle più grandi opere teatrali del novecento, un libro quasi sacro per la forza con cui delinea la tragica esistenza dell’uomo. Come sintetizza in modo eccellente Franco Cuomo, Caligola è un principe mite che alla morte della sorella scopre d’improvviso la misera natura della vita umana. Avvelenato dal disgusto e dall’orrore esercita attraverso il delitto e il pervertimento dei valori la sua libertà. Ma l’imperatore non è impazzito, anzi l’incredibile dolore per la perdita lo rende eccezionalmente lucido; una lucidità tagliente che più di una volta concede al lettore memorabili punti da leggere e rileggere fino a consumare la carta.
L’imperatore arriva a negare gli dei, a nominarsi lui stesso unico dio a cui tutto è davvero possibile, a cui tutto è concesso. Le sue azioni sembrano colpire casualmente uno o l’altro senza che nessuno ne capisca i motivi e il significato. Caligola è sempre più solo, lontano dagli uomini, diventa uno straniero nel Mondo.
E’ proprio il coraggio di queste azioni a rendere l’imperatore un eroe tragico di grande carisma: colui che potrebbe continuare ad esercitare il proprio potere destreggiandosi fra gli intrighi politici spinge sè e i suoi vicini verso limiti che diventano insopportabili. A raccontare che nessun uomo può essere totalmente libero se non contro gli altri e che per diventare liberi bisogna più di tutto rinnegare il legame con i propri cari.
Scegliere di vivere la propria vita in un modo diverso dagli altri non sembra essere facile nè per tutti. In un modo o nell’altro, ad ognuno di noi tocca la parte del prigioniero nel racconto L’ospite, quando fra le pietre del deserto algerino egli deve decidere se andare verso Tinguit, lasciar compiere il destino e morire per evitare altri delitti d’onore oppure muoversi verso est, là dove i nomadi lo accoglierebbero come uno di loro per cominciare una nuova vita.