Ci siamo. E’ arrivata l’ora dei pronostici. Il Festival di Cannes negli anni ci ha abituato sempre a grandi sorprese, a premi totalmente inaspettati, alcuni forse anche immeritati e incomprensibili. Ma d’altronde i pareri personali contano poco quando si tratta di fare delle previsioni sul Palmarès finale, perché c’è una giuria chiamata a decidere i riconoscimenti ed è impossibile conoscere le dinamiche interne ad essa o pretendere di sapere i gusti dei suoi membri, che sia un attore o un regista, a seconda del tipo di cinema che fanno. Se fosse per noi, quest’anno non ci sarebbe storia: la Palma dovrebbe andare a Paolo Sorrentino e al suo La grande bellezza. E non lo affermiamo per puro nazionalismo (anche se quello in questi casi non guasta mai), ma perché siamo convinti che film più ambizioso, originale, innovativo, visivamente e contenutisticamente potente non sia presente nella selezione di quest’anno. Sul film si può discutere per ore, cercando di trovare i suoi difetti e ammettendo anche che magari del regista campano abbiamo amato di più Il Divo o Le conseguenze dell’amore, ma non si può negare la sua importanza, il suo coraggio, la sua capacità di osare e di sorprendere, in ogni momento. Un gradino sotto, mettiamo il film giapponese Like Father, Like Son di Kore-eda Hirokazu, A Touch of Sin di Jia Zhangke, Le Passée di Asghar Farhadi, La vie d’Adèle di Abdellatif Kechiche e The Immigrant di James Gray, tra i quali spartire gli altri riconoscimenti. Un gruppetto di film di altissimo livello che dimostra che il concorso non ha disatteso le speranze d’inizio festival (e non abbiamo citato il film dei Coen e Nebraska di Payne, notevoli anch’essi). Per quanto riguarda le interpretazioni, ci ha emozionato in particolare, tra gli attori, la perfomance di Michael Douglas in Behind the Candelabra, mentre tra le attrici quella di Marion Cotillard in The Immigrant. Non abbiamo nominato La Venùs à la Fourrure di Roman Polanski perché si tratta dell’ennesimo capolavoro di un maestro, di un fuoriclasse senza categoria. La Palma per lui sarebbe un premio, oggi come oggi, che non renderebbe neanche la metà della sua grandezza. E abbiamo detto tutto.
Mettendo da parte il “nostro” Palmarès, ci risulta davvero complicato azzardare delle previsioni sulle scelte della giuria. Una giuria priva di tecnici (né montatori, né direttori della fotografia, né scenografi) e di sceneggiatori puri, composta solamente da registi e da attori (Spielberg presidente, Ang Lee, Lynne Ramsey, Daniel Auteil, Vidya Balan, Christoph Waltz, Nicole Kidman, Naomi Kawase, Cristian Mungiu), e apparentemente dominata da filoamericanismo (Lee, Ramsay e Waltz non sono statunitensi ma è in terra americana che lavorano). Non sarà facile per loro prendere le decisioni e sicuramente Spielberg riuscirà ad imporre il suo parere. Per la Palma, la sfida dovrebbe essere ridotta a quattro film: La vie d’Adèle, Like Father,Like Son, La grande bellezza e Inside Llewyn Davis dei Coen. Per gli attori ci sarà invece vera bagarre e ci aspettiamo anche degli ex-aequo, considerando tra le interpretazioni maschili Douglas, Bruce Dern (Nebraska), Joaquin Phoenix in The Immigrant, Toni Servillo, Amalric in La Venùs à la Fourrure, Tahar Rahim e Ali Mossaffa di Le Passeé, e tra quelle femminili le giovanissime Marine Vacht (Jeunne et Jolie) e Adéle Exarchoupoulos (La vie d’Adèle), Berenice Bejo (Le Passeè), Emanuelle Seigner (splendida nel film di Polanski) e la già citata Cotillard. Giusto ricordare che il regolamento prevede, come alla Mostra di Venezia, che i film possono vincere solo uno dei premi principali, e questo ci fa pensare ad una spartizione dei premi che possa far contenti di tutti. Ma chiunque riceva la Palma, quest’anno il vero vincitore è il Festival stesso, che ha messo insieme una selezione eccellente, come non se ne vedevano a anni.
di Antonio Valerio Spera