Sicario di Denis Villeneuve. Con Emily Blunt, Benicio Del Toro, Josh Brolin. In concorso.
Denis Villeneuve sul set
In un festival che finora ha fatto vedere pochi film davvero notevoli, a differenza dell’anno scorso dove c’era un’abbomdanza qualitativa da lasciare senza fiato, fa la sua ottima figura anche un prodotto di genere come questo Sicario. Diretto dal québecois Denis Villenueve, già regista del capolavoro Incendies – La donna che canta e del tortuoso e malato Prisoners, e qui prestato – non è la prima volta- al cinema amricano. Luridissima storia, sporca e cattiva, et pour cause, essendoci dimezzo la guerra statunitense –con pericolose alleanze però nella Latinoamerica – ai cartelli messicani, clan ormai paramilitari e padroni di ibtere regioni, e tra le realtà più feroci sulla faccia della terra. Sicario è un film di genere, un action che si incrocia con il genere bellico, tant’è ch nelle prime sequenze di invasione militare dei territori messicani sotto controllo dei narcos ricorda il cinema degli ultimi quindici anni sulla guerra americana allo jihadismo e sui confliti irakeno e afghano. Juarez, cittadella dei signori della coca, come la Baghdad di The Hurt Locker, la Falluja di American Sniper o, per tornare più indietro, la Mogadiscio di Black Hawk Down. Denis Villeneuve tira fuori tutto il suo senso per il male e per il massacro, per la strutturale, genetica violenza umana. In una messinscena che trasforma una storia di genere in discesa all’inferno. Con parecchi twist, e, molto à la Villeneuve, con l’abbattimento di ogni barriera tra buoni e malvagi, essendo tutti malvagi, a parte l’angelica agente Fbi Emly Blunt cui tocca, come dire, rappresentare il raggio di luce nelle teenebe. Qualcuno dopo la proiezione di stamattina ha mugugnato, lamentandosi che un film così non è da festival, non è da Cannes. Non sono d’accordo. Villenueve imprime il suo segno su ogni scena, e autorialmente fa proprio il film, pur rispettando le convenzioni del genere fino in fondo. Ricorso oltre oltre la media e la norma del campo lungo, a confondere i protagonisti con il paesaggio e la folla, minimizzandone quando non necessario gli atti e le parole. Perché tutti, protagonisti e comprimari e anonimi, sono ugualmente partecipi, vittime o carnefici, del grande massacro, tutti sono dei vivi già all’inferno. Una squadra speciale di agenti americani messa in piedi non si sa bene da chi, ma di sicuro con l’avallo dei mssimi vertici della federazione, appronta una missione che non intende solo arginare il narcotraffico, ma distriggere i potentati messicani che loorganizzano e controllano, mantenendo il potere attraverso il trrore. Si ingaggia un’agente dell’Fbi (Emily Blunt) già adusa a missioni impossibili e un suo collega e amico, ma i due sono tenuti all’oscuro di molti segretio e retriscema. A guidare la missione, insieme al capo americano della squadra, un uomo che si dice procuratore messicano, ma che si rivelerà essere ben altro. Fino alla resa dei conti finale, un bagno i sangue che pura tragedia greca e/o teatro elsisabettiano, dov anch gli innocebti paghranno. Il bene non sta da nessuna parte, sembra dirci Villeneuve con un altro dei suoi cupi affreschi. Benicio Del Tro è il mistrioso uomo venuto da oltre la Frontera, Josh Brolin il disincantato responsabile dell’operazione. Difficile che Sicario si prenda un premio, però il di piena cittadinanza a Cannes se l’è ampiamente conquistato. Molti gli applausi al press screening.