Cannes 2015. Recensione: THE ASSASSIN di Hou Hsiao-Hsien, squisito wuxiapian d’autore

Creato il 20 maggio 2015 da Luigilocatelli

Nie Yinniang (The Assassin), un film di Hou Hsiao-Hsien. Con Shu Qi, Chang Chen, Zjou Yun. Concorso.
Il venerato maestro di Taiwan Hou Hsiao-Hsien si cimenta con il wuxiapian, genere-principe del cinema cinese, e però piegandolo a sè, asciugandolo, rendendolo intimo, trasformandolo in epica da camera e da palazzo. Figurativamente e coloristicamente smagliante. Protagonista una dama-killer vestita di nero nella Cina del settimo secolo. Voto 8
Fermato da una minitroupe tv cinese all’uscita di The Assassin dalla Salle Debussy, un ragazzo ha commentato questo elegantissimo, estenuato wuxiapian del venerato maestro taiwanese Hou Hasia-Chen con il gesto del sonno: testa reclinata e appoggiata alle mani unite. Linguaggio dei segni che non aveva bisogno di traduzione per dire: letargico. Certo ci vuol pazienza, e i giovani signora mia si sa che non hanno troppa, per apprezzare e voler bene a questo film alieno, anomalo, fuori da ogni medietà e anche dal genere wuxiapian in cui vien facile collocarlo, genere qui usato solo come cornice riconoscibile per una messa in scena che si autonomizza subito dalla convenzione puntando sulla lentezza ieratica anziché sulla velocità survoltata dei soliti duelli acrobatici, su un’epica da camera in ambienti ridotti e spesso tenebrosi, con pochi personaggi e senza scene di massa. Una lezione di stile, e anche di moralità cinematografica. Prendere una delle forme narrative che hanno fondato il cinema cinese e ne sono diventato il marchio per svuotarla dal di dentro, essenzializzarla, asciugarla. Operazione che ricorda quella fatta sempre sul wuxiapian, anche se su un versante stilistico molto diverso, da Wong Kar-wai tre anni fa con The Grandmaster. Hou Hsiao-Hsien in questo cappa e spada da camera e da palazzo si scatena in una sontuosità visiva che, più che scenografica, è coloristica, a comporre quadri viventi, spesso a camera fissa (solo nella seconda parte la mdp comincia a muoversi, e sempre più sinuosamente) che sono un tripudio di blu, rossi, oro, viola, rosa, verdi. Un incanto, ecco, e fa niente se l’azione latita, la lentezza è asiaticamente maestosa e si rischia l’abbiocco. Quel che conta è la bellezza, e costruire una narrazione che si faccia rito, cerimonia, spettacolo ipnotico, veicolo dell’inconscio. Si parte con un prologo in bianco e nero, su sfondo di vertiginosa squisitezza composto da ciliegi in fiore. Quando il colore esplode, comincia l’azione, anche se sottoposta al massimo possibile della sobrietà, del rigore, della rarefazione. Siamo distanti dal cinema colossale e action di Tsui Hark e anche dai wuxia di Zhang Yimou, qui è tutto raccolto, intimo, pudico, come un racconto orale attorno a fuoco. Tende che nascondono minacce, giade rivelatrici, spade e pugnali che saettano, dame vestite di nero e dame vestite di bianco ugualmente pericolose. Torce nella notte, danze di concubine e del loro sovrano, una corte familiare e domestica però di strabiliante perfezione formale. La storia? Abbastnza nebulosa, ma che importa, in fondo è solo un pretesto per scatenare la maestria di Hou Hsiao-Hsien e la sua dedizione al cinema e alla tradizione storica. Siamo nel settimo secolo, in una Cina dove la debolezza del potere centrale ha fatto fiorire province sempre più autonome e più potenti. In una di queste, Weibo, si nuove una letale donna-killer addestrata da una monaca biancovestita con la missione di uccidere i tiranni. E suo bersaglio diventerà anche il cugino, un tempo suo promesso sposo, adesso seduto sul trono. Tra agguati fuori e dentro il palazzo, complotti e tradimenti, gli ex innamorati si ritroveranno drammaticamente faccia a faccia. Se a un primo livello The Assassin ci sembra solo un esercizio di stile, ci si rende conto a una certa distanza dalla visione di come abbia invece lavorato sulla nostra percezione e sul nostro sguardo potenziandoli, inducendoci a vedere il non visto.


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