Anno: 2014
Durata: 94′
Genere: Drammatico
Nazionalità: Italia
Regia: Sebastiano Riso
Sebastiano Riso, catanese classe 1983, al suo primo film scelto per La Semaine De La Critique al festival di Cannes, racconta una storia di luci e ombre; la luce di chi vede tutto perfettamente chiaro e definito, e l’ombra di chi sente dentro di sé un modo di essere che difficilmente la società potrebbe accettare.
Partiamo dalla seconda parte o poco più. L’abbraccio straziante tra il giovane protagonista Davide (Davide Capone) e la madre (interpretata da un’intensa Micaela Ramazzotti) fa emozionare, commuove all’improvviso, scioglie la tensione accumulata fino a quel punto della storia.
Catania, estate di un anno imprecisato, a prima vista gli anni Ottanta, ma televisori (sintonizzati sul meteo) e telefoni cellulari ci riportano ai nostri giorni. Davide ha quattordici anni e cerca di scoprire la propria sessualità di nascosto dal padre, rigido e ottuso (Vincenzo Amato); ha tappezzato la vecchia soffitta di specchi attraverso i quali trasformarsi e re-inventarsi e contemplarsi, libero di essere se stesso. Colleziona vestiti e accessori da donna, poster di personalità androgine come David Bowie e conserva 45 giri in vinile, uno in particolare, Amore Stella di Donatella Rettore (“io, che sono niente nullità chissà che dio diventerei se in quel che vivi fossi anch’io se quel che fai fosse un po’ mio”). Dopo l’ennesimo scontro con il padre scappa di casa e si unisce ad un gruppo di amici che diventano la sua nuova famiglia; tra gli altri ci sono Meriliv Morlov (Sebastian Gimelli Morosini), transessuale, schietta e materna al tempo stesso, e La Rettore (Giovanni Gulizia) che deve fare i conti, come Davide dell’incomprensione della sua famiglia. Si innamora di un ragazzo bello e tenebroso, amante del suo protettore (interpretato da Pippo Delbono), e nel frattempo cerca di guadagnarsi da vivere vivendo di piccoli furti, sempre alla ricerca di un posto dove trascorrere la notte, fino al giorno in cui, alla ricerca di soldi o qualcosa da mangiare, si imbatte in sua madre.
E la storia riparte da lì, lasciandoci per un attimo sospesi: Davide tornerà a casa con sua madre o proseguirà per la sua strada? In tutti e due i casi sarebbe costretto al compromesso, di un padre che non lo accetta o di un protettore che lo vuole iniziare al mestiere più antico del mondo. Curiosamente il personaggio del padre e quello del protettore sono vestiti di bianco, come anche il proprietario del cinema porno disposto a pagare Davide e La Rettore in cambio di favori sessuali, per poi tornare a casa e fare il bravo marito; bianca è la fotografia (curata da Pietro Basso) sia nelle scene di vita familiare di Davide, che in chiesa insieme a sua nonna (Lucia Sardo), che insieme al protettore, tutti i momenti in cui qualcuno sembra volergli dare una collocazione; in contrasto con la luce cupa soffusa notturna, fino a diventare buio, di chi sta cercando di affermare la propria identità. La fotografia crea inoltre un gioco di luci ed ombre che abbozzano e lasciano intuire, senza rivelare in maniera esplicita, le scene di sesso.
Il contrasto tra la luce e il buio, tra l’identificazione in un genere che la società riconosce e l’identificazione in un genere (o in un non-genere) che la società, accecata da quella luce bianca e rassicurante, si ostina a non voler vedere, si scatena nell’urlo finale di Davide, dopo essere stato salvato da un tentativo di suicidio commesso davanti a suo padre; nonostante abbia tentato di tagliarsi la gola e non abbia le forze per parlare, guardandosi ancora una volta dentro e scoprendo di non avere altra strada che quella della propria difficile e ostacolata affermazione, urla con tutta la forza che ha in corpo per farsi sentire e squarciare quel buio, più buio di mezzanotte.
Anna Quaranta