Se la maturità e l’apertura di un Paese si dovessero giudicare dal suo ministro della Cultura, allora dovremmo concludere di essere messi davvero male.
I battenti di Cannes si aprono monchi della rappresentanza del governo italiano. Il pasticcio, come è noto, l’ha combinato il nostro ministro della Cultura, che ha deciso di boicottare Cannes in segno di protesta contro il documentario “Draquila” di Sabina Guzzanti, bollato come “propaganda che offende la verità e l’intero popolo italiano”.
Non lo nascondo: non ho mai avuto alcuna simpatia per Sandro Bondi. Ma le mie inclinazioni personali non c’entrano. Dietro alla scelta del ministro – stigmatizzata come “puerile, infantile e capricciosa” dall’ex ministro francese della cultura Jack Lang – c’è anzi il chiaro marchio di fabbrica di un presidente del Consiglio, e della maggioranza di governo a lui devota, allergico a qualunque critica nei suoi confronti. Ci sono uno stile, un’incontinenza che porta, come in questo caso, ad atteggiamenti e posizioni grotteschi e solo apparentemente incomprensibili. C’è l’idea che l’Italia sia una vetrina da tenere linda e pulita, poco importa se si nasconde la polvere sotto il tappeto, poco importa se si arriva all’eccesso scomposto di definire “propaganda” la libera espressione artistica. Partendo da questa fobia si arriva a un raccapricciante ribaltamento: chi denuncia, chi cerca di raccontare la verità, con i mezzi che ha a disposizione, può essere considerato dannoso per l’immagine dell’Italia, come il cavaliere ha imperdonabilmente lamentato nel caso di Roberto Saviano.
L’immagine dell’Italia deve essere cristallina e pura, senza ombre. E poco importa se Sabina Guzzanti ha buoni argomenti quando dice che il terremoto dell’Aquila giunse provvidenziale per permettere a un premier in crisi di credibilità a causa degli scandali sulla sua vita privata di risollevare la propria immagine. Anzi, peggio ancora se ha buoni argomenti, perché le critiche argomentate e motivate sono le più pericolose. La Guzzanti però non è sola: anche mezza stampa europea e in particolare anglosassone, all’indomani del terremoto, rilevò l’uso propagandistico che il primo ministro italiano fece della tragedia dell’Aquila. E allora è chiaro che il capriccioso rifiuto del ministro Bondi di partecipare a Cannes non influirà negativamente sulla fortuna di “Draquila”.
Quello che rimane è, piuttosto, l’ennesima, scomposta reazione, la rivelazione non nuova di un umore di fondo. Lo stesso che, a guardare bene, poteva essere letto nelle recenti dichiarazioni del cavaliere, rese nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi, in risposta alle molte critiche che ci provengono dall’estero: “è sotto gli occhi di tutti” , aveva detto, che in Italia “abbiamo fin troppa libertà di stampa”.
Viene da chiedersi che cosa si debba intendere per “troppa” libertà di stampa.
La libertà di stampa può essere troppa? Io direi di no. La libertà di stampa o c’è o non c’è, ma in nessun caso può essere troppa.
Il gergo berlusconiano, nelle sue pieghe, rivela come al solito le sue vere intenzioni, la sua reale indole: malgrado il controllo capillare delle televisioni e la condiscendenza di buona parte della stampa non apertamente filo-berlusconiana, in Italia ci sarebbe “fin troppa” libertà di stampa. Troppa perché, in alcuni casi, è ancora in grado di gettare ombra sul sultano, tentando di svolgere la sua fondamentale funzione, quella di criticare il potere e chiedergli di dar conto del proprio operato.
In Italia, apprendiamo, c’è “fin troppa” libertà di stampa. Immaginiamo con facilità che in ci sia anche fin troppa libertà di espressione artistica.
Intanto Cannes ha preso il via, con il presidente della giuria Tim Barton cheha presentato così il festival: "Noi siamo per la libertà espressiva, siamo per la libertà di vivere liberi e senza censure". Ed è per questo che, ovviamente, “Draquila” ci sarà. Sandro Bondi no. Lui è così preoccupato per l’immagine dell’Italia, che ha pensato bene di farle rimediare l’ennesima figuraccia.