Ho scovato questo racconto di Mark Twain, Cannibalismo in ferrovia, in un'antologia, acquistata ad un mercatino dell'usato per la sconsiderata cifra di 35 centesimi... una vera follia, no? Scherzi a parte, sono un cultore di questi mercatini, in cui è possibile trovare piccole perle librarie ad un costo irrisorio, quasi nullo, e che permettono di portarsi a casa, con meno di dieci euro, quasi una dozzina di libri, con somma felicità di casa mia e del mio spazio vitale in perenne assottigliamento... Comunque, tornando al racconto, devo ammettere che ho scoperto un lato di Twain che non conoscevo: cinico, quasi in bilico sull'horror truculento e il visionario psichiatrico. La storia si svolge tutta su un vagone ferroviario, in cui il protagonista, uno sconosciuto che non viene mai chiamato per nome, si trova alle prese con un passeggero e la sua incredibile storia.
Il libercolo in questione...
Questo, convinto di fare cosa buona e giusta, si mette a raccontare delle vicende che qualche anno prima lo hanno visto protagonista, durante un viaggio in una notte rigida e nevosa. La neve, che cadendo fitta e costante aveva coperto i binari, costringe il treno a fermarsi nel bel mezzo del nulla, mettendo i passeggeri in una situazione davvero critica. I soccorsi non si vedono e con ogni probabilità non si vedranno per parecchi giorni, quindi è inevitabile che qualcuno pensi a come sostenersi fino al loro arrivo. E quale sistema migliore, se non decidere chi si dovrà sacrificare per il bene comune? Parte così una sequela di scene surreali, al limite del incredibile, fra votazioni, imitazioni di schieramenti politici, giudici che decretano la fine o meno di quei malcapitati scelti per diventare cibo e dialoghi che ammiccano, neppure tanto velatamente, a quella che era la società dell'epoca e che, senza alcuna difficoltà, riescono ad essere ancora attuali e metafora perfetta della classe politica e dirigenziale dei giorni nostri. Uno spaccato, quello creato da Twain, che anche nel finale lascia sbalorditi, spiazzati, come se quello che appena letto sia un resoconto giornalistico odierno, e non un racconto scritto nel 1868. Di questa antologia ho letto solo questo racconto, fin'ora, ma posso assicurarvi che presto colmerò la lacuna e leggerò il resto, fiducioso di trovare altri piccoli capolavori come questo. Di Twain, in realtà, non ho letto molto, lo ammetto, soprattutto perché non sono mai stato attratto troppo dagli scrittori classici. Ma in questo caso devo chinare il capo e fare ammenda, vista la qualità dei racconti e la capacità descrittiva che possedeva il buon vecchio Mark. Il racconto, lungo meno di nove pagine, racchiude un intero universo di sensazioni, emozioni forti che colpiscono, che lasciano in parte storditi di fronte all'assurdità e alla coerenza di come sono mostrate. Non so se sia ancora recuperabile, se in qualche altro libro possa essere trovato. Credo di sì, visto che non si parla certo di uno sconosciuto, ma ammetto di non aver indagato. Se vi capitasse il mio consiglio è sempre lo stesso: leggetelo, non vi pentirete e in fondo vi avrà rubato non più di un quarto d'ora di lettura.