Prigione di Stato del Montana. Ken Parker è ancora un galeotto, costretto a scontare una pena per l'omicidio di un poliziotto commesso a Boston durante uno sciopero della classe operaia1.
Ed è dietro le sbarre che lo ritroviamo nel primo episodio inedito dai tempi del quarto Speciale ( Faccia di rame, Gennaio 1998): Canto di Natale è un racconto di dodici tavole realizzato dagli ideatori del personaggio, Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, pubblicato sinora solo come portfolio deluxe in mille copie dall'editore Spazio Corto Maltese. Prevedibilmente sarà ristampato da Mondadori Comics al termine della riedizione completa della serie attualmente in corso (indicativamente nella primavera 2015).
Nessuna salvezza
La prigione è un'esperienza disumanizzante, come Berardi ci ha mostrato più volte durante la saga di Lungo Fucile. È un luogo dove i carcerieri possono sfogare la loro rabbia e violenza rimanendo impuniti: la vittima in questa storia è Lyle, prigioniero amico di Ken e padre di una neonata. Ken non riuscirà a chiudere gli occhi di fronte a un altro torto: nel suo DNA vi è un senso di rettitudine assoluto, che lo porta a combattere per ciò che ritiene giusto, spesso ponendosi in difesa dei più deboli. Il suo Canto di Natale è tutt'altro che catartico.
Ben lontano dal romanzo breve di Charles Dickens di cui porta il titolo, il racconto non ripercorre il passato né predice il futuro del personaggio e tantomeno lo porta a rivedere la sua visione della vita, come un novello Ebenezer Scrooge. L'aspetto favolistico si trasfigura nel duro realismo berardiano, che non lascia adito a illusioni.
Emblematico è il canto a cui si riferisce il titolo: non un canto gioioso e di festa, ma un coro di otto prigionieri costretti a intonare Silent Night. Essi però si accordano per aumentare il volume del canto in modo da coprire le urla del sanguinario carceriere che intendono uccidere. Ed è mentre cantano "Christ the savior is born!" ( "Cristo il Salvatore è nato!"), sunto del messaggio religioso del Natale, che si consuma l'omicidio.
La totale inversione è avvenuta: al posto della nascita, assistiamo a una morte che sancisce l'assenza della salvezza e di qualsivoglia ipotesi di redenzione. I deboli provano a coalizzarsi e combattere i prepotenti e i loro soprusi, ma la soluzione trovata non sarà indolore. Una lacrima sgorga sul viso di Ken nel finale, a dimostrazione, ancora una volta, che le sue azioni sono sofferte, costrette dalle circostanze, mai gratuite. Diverse volte, del resto, egli si è trovato controvoglia a farsi giustizia da solo, ma sempre si è avvertito il dolore e il tormento del personaggio.
L'ultima tavola propone un parziale, momentaneo, capovolgimento di toni, descrivendo ancora una volta l'umanità di Ken: la solidarietà, l'empatia, il senso di protezione nei confronti della vedova e della sua bambina, l'emozione nel riscoprire che esiste qualcosa al di fuori del freddo della cella.
Un invidiabile connubio tra immagini e parole
Per realizzare una storia autentica è necessario emozionarsi in prima persona mentre la si scrive e disegna. Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo l'hanno affermato in diverse occasioni: è questo l'unico modo per far sì che il lettore, a sua volta, mediante l'interposizione di tavole permeate d'inchiostro, provi qualcosa.
Difficile infatti rimanere "obiettivi" dopo aver letto tavole tanto emozionate ed emozionanti.
Non è la prima volta che i due autori genovesi si cimentano nel raccontare un episodio in clima natalizio2,
ma in questa storia breve la grandezza sta nel riuscire a includere buona parte dei pregi delle storie di Lungo Fucile. Il connubio artistico tra Berardi e Milazzo sembra infatti essersi conservato intatto: gli autori dimostrano ancora quell'affiatamento del tutto particolare che da anni si estrinseca in un approccio votato alla sintesi, sia stilistica che concettuale. Questo permette loro di superare con eleganza l'ostacolo delle esigue tavole a disposizione.
Ancora una volta, a Giancarlo Berardi bastano pochi dialoghi per delineare un personaggio, per far empatizzare il lettore con la sua situazione o per farglielo odiare profondamente. La storia non è banale e riesce a essere affilata e poco accomodante.
Dal canto suo, Ivo Milazzo appare ancora all'apice del suo stile "espressionistico": il disegnatore necessita di pochissime pennellate e ripassa i suoi acquerelli con una china nervosa e veloce. È forte il richiamo a Il respiro e il sogno (1984), raccolta delle storie brevi completamente mute in cui i due autori raccolsero la sfida di narrare per immagini facendo a meno dei dialoghi.
Eppure, se lì Milazzo pareva alla costante ricerca di un "bello" artistico, in questo Canto di Natale pare avervi rinunciato, per mettersi sempre di più al servizio della narrazione. Non importa quindi la rotondità o la precisione estetica nel delineare i volti, quanto il far emergere quelli dei due personaggi chiave dell'episodio: Ken Parker da una parte e il carceriere Finney dall'altra. Tutti gli altri hanno visi abbozzati, sono comparse funzionali ma senza la necessità di "bucare" la pagina. Oltre a loro, la neve, presenza silenziosa e costante.
"Tanto Tempo..."
"È tanto tempo... Tanto tempo..." afferma Ken nella vignetta conclusiva, e tale affermazione, in lacrime, sembra nascondere tanto altro. È tanto tempo che Berardi e Milazzo non indagavano dentro loro stessi per tirar fuori tavole così sentite. È tanto tempo che gli autori non si dedicavano al loro "figlio prediletto", quel Lungo Fucile che ha regalato loro una gloria artistica quasi pari alle vicissitudini editoriali che ha (e hanno) dovuto sopportare. È tanto tempo, infine, che il lettore non si trovava di fronte a un personaggio che non ha alcun timore di mostrarsi umano e, proprio per questo, rende difficile separarsene, sia per gli autori che per i lettori.
Ci auguriamo quindi, che per rivederlo non debba passare, nuovamente, "tanto tempo".
Abbiamo parlato di:
Ken Parker - Canto di Natale
Giancarlo Berardi, Ivo Milazzo
Spazio Corto Maltese Edizioni - Ottobre 2013
12 pagine, colori, portfolio - 100,00€