All’ombra delle storiche piramidi o nelle vie affollate e brulicanti di passanti frettolosi e ciarlieri di quel dedalo urbanistico che è Il Cairo, tanto quello antico che moderno, tutto è cambiato ma in realtà nulla è cambiato. Se si vuole parlare di cambiamento bisogna-ci dicono- semmai fare solo riferimento , purtroppo, al peggio.
Questa è l’opinione dell’uomo della strada, di quell’egiziano scettico che guarda con realismo alle cose. Sopratutto alle “sue” cose.
Quello che molto spesso, per sopravvivere, si deve inventare ogni giorno un mestiere ora che anche il turismo non tira più come un tempo e il costo della vita per lui è sempre più alle stelle.
I più delusi, però, occorre dirlo, restano i giovani di Piazza Tahrir, che si erano permessi di sognare in grande.
E cioè una democrazia all’occidentale e un futuro meno incerto nel loro avvenire.
Magari senza più emigrazione.
Il 20 gennaio dello scorso anno migliaia di egiziani erano scesi in piazza, infatti, contro il regime ormai trentennale di Hosni Mubarak,convinti di un cambiamento certo e imminente.
E la sorpresa per la gente è, soprattutto, che stavolta i militari sono con la folla che protesta.
Non c’è cioé nessuna repressione.
E , dopo giorni di scontri, senza soluzione di continuità, alla fine Mubarak è costretto davvero
a dimettersi e a fuggire dal Cairo, rifugiandosi nella sua residenza privata sul mar Rosso.
Si pensa, dunque, e con sollievo che il tempo nuovo è finalmente sopraggiunto.
La “primavera” araba è proprio quella là, la vera primavera agognata sull’esempio di quanto è accaduto già a Tunisi e sta per accadere anche a Tripoli.
Oggi, invece, finito il sogno e aperti bene gli occhi, ci si trova a dover constatare che la gestione delle imminenti elezioni sarà niente di meno che opera dei” barbuti” Fratelli Musulmani, che hanno il consenso, in combutta con la casta dei militari, che detiene il potere effettivo del Paese.
Ossia quello economico-finanziario, che riguarda i molti e disparati settori della vita egiziana,
dall’agricoltura all’industria, dal commercio all’edilizia residenziale e no.
Infatti, parlando di elezioni, che sono forse la sola cosa seria in questo Egitto caotico, di cui per la verità,terminata per gli occidentali l’era Mubarak, si sa sempre meno, o comunque molto poco e confusamente, nel marzo scorso, eletto il Parlamento, in attesa del nuovo capo dello Stato tutto, ma proprio tutto, è finito nelle mani del Consiglio militare.
E, se nulla osta, le date delle elezioni dovrebbero essere il 23 e il 24 maggio.
La sorpresa di pochi giorni fa poi, che si aggiunge come il cotto sull’acqua bollente è stata piuttosto quella che il nuovo Parlamento ha subito approvato una legge, che priva qualsiasi funzionario del precedente regime ,per almeno dieci lunghi anni, dei cosiddetti diritti politici.
In tal modo addirittura una diecina di candidati di primo piano di differenti partiti e/ o espressione politica sono fuori gara.
Esclusi dalla competizione elettorale prossima.
Ora questo significa in un certo senso precarietà patente.
Precarietà, perché necessita una presidenza per l’Egitto di un certo spessore anche culturale che, in questo caso, significa esperienza provata delle cose politiche e non improvvisazione, essenzialmente in vista di una sua ripresa interna e di un inserimento di diritto del Paese nel contesto internazionale.
Non si vorrebbe insomma per l’Egitto, alle porte di casa, una fase oscurantista, con guerre ideologiche o di religione, come purtroppo già accade, ad esempio, con i cristiani copti, che si risolverebbe in un incubo autentico e difficile da allontanare .
Un Egitto forte e moderno ma non ostile agli occidentali in quell’area geopolitica è, inoltre, una notevole garanzia di pace per tutti i Paesi, che si affacciano sul Mediterraneo. E la storia prossima ventura, nel bene o nel male, è proprio lì che si farà.
I segnali già ci sono.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
Nalla foto in basso la rivolta di Piazza Tahir. In alto, invece, giovani partecipanti in un momento di relax