Fabrizio, dinoccolato e sicuro, elegantissimo in una giacca di velluto inglese da caccia alla volpe, la sottilissima sigaretta da dandy in mano da agitare come un frustino e i capelli alla d’Artagnan che s’aprivano fluttuanti come due sipari teatrali sulla scena d’una battuta fulminante, chiuse il giornale che era stato quasi tutto riempito dai reportage di Ludmilla Suchianova . Entro’ in cronaca a verificare quanti cronisti erano rimasti .Sfoggiò uno splendente sorriso ironico e dissacrante che coordinò con un tic nervoso al labbro e a un aggrottamento sciatico alla schiena; apri’ con cura, flemmatico, la posta della giornata . Alina Suchiànova, già precaria alla Gazeta di Saint Peteroburg era stata nominata capo desk degli Esteri.
Ma era anche l’unica giornalista scrivente rimasta al Papier Diplomatique.
Dopo i reportage da Roma e le sue inchieste sulla morte poco chiara di papa Fidel ( ancora Il Roman Observer insisteva sulla tesi dell’ictus) lo aveva folgorato una nuova inchiesta di Alina sul Califfato siciliano; la precaria aveva scoperto i piani della Petrosicula: Repubblica Caldea, Arabia saudita, Kuwait, Iraq e Iran, piuʼ lʼAfghanistan e Albania, dopo la morte del papa, avevano stabilito di diventare soggetti attivi nellʼisola siciliana, controparti alla pari d’uno pseudo califfato , appoggiato dal PD locale , che si era istallato con un golpe a Palermo: il califfato di Corleone.
Lʼatto di nascita della Petrolsicula a Ur, e il perfezionamento successivo delle sue ragioni coincidevano, molto in sintesi, con il principio che la Sicilia, sin dal medioevo, era stato uno Stato islamico e che ormai i milioni di immigrati del Maghreb che la popolavano avevano il diritto di riunirsi alla madrepatria araba. Da quando nel 2016 era stato scoperto il gas metano ad Agrigento, da un lato, un blocco di paesi molto variamente “ fratelli” ( Rep Caldea ,Arabia saudita, Kuwait, Iraq e Iran) dallʼaltra le sorelle albanesi, e le cuginette Mobil, Chevron e Texaco non avevano esitato a finanziare una sanguinosa guerriglia integralista. Co- fondatore della Petrolsicula e per questo, creato sceicco e primo titolare del Ministero del petrolio siciliano, controllato di fatto dal governo iraniano era stato Lucky Spatuzza ora Mohammed, da Corleone: ex picciotto di Totò Riina, dopo la conversione all’Islam aveva subito rifiutato l’appoggio del consorzio petrolifero algerino-russo-americano ( Araùco) che ricercava, pompava e raffinava il greggio mediterraneo; Lucky Spatuzza aveva scelto l’appoggio del governo degli ahatollah della Rep. Popolare Caldea e aveva fatto entrare da Lampedusa migliaia di miliziani hezbollah libanesi. Alina Ludmilla dimostrò in diversi articoli , lodati anche da Alesina Giavazzi, che le royalties pagate dalle compagnie caldee allo stato autonomo siciliano erano molto basse, troppo basse.
La differenza veniva incassata dal premier Akbar Fonzi , e dal presidente della repubblica islamica d’Italia Mohammed Al Fano.
Gli hezbollah che sbarcavano a Lampedusa venivano da Jaffa: studenti coranici, per la maggior parte analfabeti, avevano prima dominato la valle di Tel Aviv per poi di espandersi in Libia e in Tunisia. Arrivati in massa in Italia , diecimila hezbollah dei campi Karitas di Palermo incominciarono subito a lottare per uno stato monoetnico e centralizzato, servendosi del Corano come strumento di repressione. Il loro capo divenne subito il mullah Lucky Spatuzza che li coordinava da una base segreta di Corleone. Raccontò ad Alina che lo intervistò per il Papier, di aver avuto l’ordine da Maometto, in sogno, per costruire la Petrolsicula. I suoi 25 mila hezbollah ( a cui si aggiungevano 15 mila talebani armati con mortai e armi pesanti fatte entrare in Sicilia dalla Komunità di Santa Rosalia ) godevano dell’appoggio della Rep. Caldea che voleva contrastare la nascita del Califfato di Crotone, e mantenere il controllo nel Mediterraneo, a scapito delle potenze egemoni come l’Albania e l’Algeria, di fede sunnita..
I talebani e gli hezbollah di Lucky Spatuzza entrarono in scena a Palermo nel gennaio del 2018, quando s’impadronirono del comune. La loro avanzata continuò conquistando Donnafugata, Messina, Agrigento, Modica,Ragusa. In settembre entrarono a Catania. Il Ministero dei Vizi e delle Virtu’ emanava fatwe e governava secondo le leggi della Sharia: le donne siciliane dovevano indossare la burqa che le copriva da capo a piedi. Non potevano lavorare, andare a scuola, uscire da sole, lavare i panni . Niente scarpe coi tacchi nè smalto sulle unghie. Gli uomini si dovevano far crescere la barba, erano obbligati a indossare il turbante, pregare cinque volte al giorno nella moschea di Palermo o di Catania. Vietato fumare, bere alcolici, ascoltare musica, giocare a carte, far volare gli aquiloni.La religione cattolica venne proibita.
Alina , grazie alla sua intervista. venne promossa da Fabrizio capo degli Esteri, Interni, Moda e TV.Dimostrò in un nuovo reportage che che la coltivazione dei papaveri da oppio nelle valli intorno a Broni non era una leggenda metropolitana della Contra Lombarda. Era business che si traduceva ogni anno in tonnellate di narcotici che finanziavano il terrorismo islamico nel nord Europa. Alina calcolò che l’8O% delle droghe pesanti consumate in Europa avevano origine con sufficiente certezza nell’Oltrepò pavese.L’oppio veniva coltivato su quasi 6O0 mila ettari di terreno, che fornivano ogni anno 2OOO tonnellate di “ roba”. Ma per eliminare le vastissime colture e avviare una programmazione agricola “normale” occorreva l’assenso del governo islamico di Pavia, che controllava quasi due terzi dell’Oltrepò, sfuggito al governo della autoproclamata Repubblica Cisalpina.
Intanto, con la produzione e il commercio dell’oppio il governo ddi Rabbanì Curci – il leader pavese che aveva inaugurato una alleanza con il califfo di Milano Alì Monta -si arricchiva di nove milioni di dollari all’anno, che confluivano negli scrigni delle moschee pavese e nelle tasche dei mullah.
…Entrò in redazione e contemplò lo staff che formava l’opinione pubblica milanese : Alina della gazeta di Gomel , Maria Consolao, General Manager at 360° , Playmaker , Senior Vice President Marketing, New Business Development ,web journalist, seo specialist, web designer alla Voce di Bahia; Natasha , Independent Public, Press & Media Relations al Timsoara Post. Tamara, già agli Esteri, Ophthalmologist e Esperta di comunicazione strategica e media , ex stagista a Tirana Notte .Poi, notò Massimo Robotnik…Già: il pasdaran Robotnik… L’aveva imposto Alì Monta in redazione.Faceva parte del Soviet Islamico Multiculturale.
Doveva vigilare che gli articoli redatti dai giornalisti rimasti al Papier non infastidissero gli stati del Golfo…c’era già un accordo tra la Petrolsicula, la Leoncavallo & Brothers per scardinare ,attraverso Milano,la Repubblica Cisalpina e portare il petrolio siculo in nord Europa…
Insomma, era tutta questione di petrolio, pensò affranto il direttore Fabrizio.
… era stato recentemente nel far west del nuovo millennio : era una sconfinata pianura giallo oro frustata dal vento in una selvaggia desolata regione ad est di Agrigento. I pionieri erano geologi sauditi, ingegneri uzbechi, tecnici di Teheran: cercavano il gas metano armati di tubi di perforazione, trivelle e sismografi. Uomini duri, che avevano alle spalle le recenti invasioni islamiche di Spagna, Portogallo e Francia. E che ora lavoravano, 24 ore su 24, sul colossale giacimento agrigentino, uno dei piu’ estesi del mondo, con riserve stimate attorno ai 5OO miliardi di metri cubi di gas , e una produzione potenziale pari al 2O per cento del fabbisogno europeo. « Se si esaurisce definitivamente il petrolio iraniano ,se il gas dotto russo non riuscisse a decollare, l’alternativa per l’Europa diventerà il gas siciliano trasformato in petrolio », gli aveva spiegato Alina , che conosceva le quote di maggioranza della caldea Alì Gas.
Dopo l’invasione di Israele, gli iraniani si erano impossessati dei brevetti israeliani e aspiravano al monopolio … Ma il gas che poteva essere trasformato in benzina non riguardavan solo la Regione Autonoma Islamica di Sicilia: da Rimini ai confini con Stradella, enormi giacimenti erano ancora inesplorati. Dieci anni dopo la presa del potere di Akbar Fonzi in Italia, e il conseguente smembramento nella penisola in diverse repubbliche autonome confessionali, il « bel paese» diventava teatro di una nuova edizione di quella che Rudyard Kipling definiva « the Great Game», il grande gioco per la spartizione delle sfere di influenza tra la Russia degli zar e la regina Vittoria. «Dal punto di vista strategico – gli aveva confidato l’ex segretario americano alla Difesa John Wein – gli idrocarburi siciliani sono piu’ importanti per l’Europa dell’espansione della Nato in Russia ».
Dopo il golpe in Sicilia, le maggiori compagnie arabe si erano lanciate in una lotta senza quartiere per conquistare le concessioni nella Regione Autonoma Islamica e a accaparrarsi quote di mercato, diritti di esplorazione e di sfruttamento, appalti per la costruzione delle infrastrutture e degli oleodotti, pagando tangenti al Califfato di Porcellone e a Roma ad Akbar Fonzi.
Istabilità, guerriglie armate, crescita del fondamentalismo islamico a Palermo e a Messina, corruzione, ingerenze esterne. Solo nella provincia di Catania erano esplosi nell’ultimo anno ben 23 conflitti interetnici. A Siracusa, dopo 5 anni di guerra civile tra i siciliani locali e i contadini albanesi importati, Lucky Spatuzza era ancora sotto tiro della guerriglia integralista finanziata dai sunniti del Califfato di Crotone.. Il suo regime, finanziato da Cosa Nostra resisteva solo per la presenza dei 4O.OOO hezbollah affiancati da bande di picciotti palermitani.
A Messina, il nuovo ponte con il continente si era trasformato in una autostrada delle armi e soprattutto della droga: dai monti palermitani transitavano ogni anno 4 mila tonnellate di oppio prodotte in Sicilia ( 3O dollari al chilo) che passavano nei bazar di Reggio Calabria (8OO dollari al chilo) per finire nei centri di smistamento di Assisi ( l0 mila dollari al chilo), dove veniva raffinato in eroina e avviato al nord ,bypassando Milano.
Nel far west di Agrigento, una città di spettrali edifici di cemento costruiti dai neo comunisti islamici ai margini dei giacimenti ( scoperto dai geologi albanesi nel 2016) l’inverno dolce era alle porte. Al tramonto le ombre delle ciminiere si allungavano a dismisura nel terreno color malva e il cielo s’ingolfava di nubi scure, sospinte dal vento del Maghreb.
«Passiamo la notte attorno ai fuochi dei pozzi, bevendo vodka»gli aveva raccontato il dottor Alì Abrahms , nativo di Ur sbarcato col battaglione Islamico Internazionale e ora responsabile logistico d’un grande campo di baracche che ospitava i tecnici caldei. Nei villaggi dei dintorni i contadini siciliani osservavano il volo dei corvi che annunciava le prime gelate. Le donne a cui gli hezbollah avevano imposto subito il velo, preparavano conserve di cavoli e cetrioli. Pastori sul cammello conducevano greggi di pecore agli ultimi pascoli tra gli scheletri dei tempi greci ormai abbattuti. In questa remota periferia dell’impero caldeo,le cui vestigia erano la solitaria statua di Maometto dorata nella piazza principale, il passaggio di qualche picciotto di Cosa Nostra e l’ubiqua presenza degli arabi , la manna petrolifera era ancora una promessa aleatoria.
«Da sette anni» gli spiegò Cicciu Riina della Petrolsicula « siamo ai blocchi di partenza, in attesa di siglare l’accordo definitivo con il governo centrale europeo»
Poiché l’energia arrivava sempre più difficilmente in Europa dai giacimenti petroliferi del Caucaso, gli europei non avevano alcun interesse a combattere gli invasori caldei che avevano scippato all’Italia l’isola siciliana.
« Tutto è pronto per il grande balzo e far cadere la Lombardia nelle nostre mani », gli aveva allora rivelato Cicciu Riina» ma il vero problema è fare passare il petrolio per la Svizzera: e lì, nel Canton Ticino, ci sono gli ultimi italiani che resistono »
Tutte le pipeline provenienti dalla Sicilia finivano davanti alla pianura padana.
C’era poi l’ incognita del terrorismo integralista albanese, finanziato da stati islamici del Caucaso. Se Grozny aveva all’inizio appoggiato l’invasione caldea della Sicilia, condivisa dal governo di Lucky Spatuzza , appoggiata da Cosa Nostra e dalla comunità di Santa Rosalia , ora spingeva per una soluzione armata. Soprattutto nel Nord. Finanziava Alì Monta .
Nel Grande Gioco erano comunque gli stati del Golfo ad avere il ruolo di protagonisti. Con una decisa politica dietro le quinte, erano stati proprio loro a finanziare le guerriglie islamiche integraliste che avevano portato allo smembramento dell’Italia.
«Qui in Sicilia i caldei sono arrivati per ultimi, anche se si sono presi i pozzi migliori e le zone di prospezione piu’ vaste e promettenti» gli confidò Jan Wiston, un « oil man» canadese che infilava chilometri di tubi tra Scilla e Cariddi a bordo delle piattaforme. E intanto la febbre del petrolio aveva contagiato Reggio Calabria, sotto il tallone del Califfato di Crotone : le ‘ndrine che appoggiavano gli jihaidisti aprivano alberghi a cinque stelle frequentati da spie, diplomatici, emissari dell’integralismo islamico, uomini d’affari della ‘drangheta e della Sacra Corona Unita, kuwaitiani e afghani.Avventurieri e produttori televisivi, produttori di oppio e frati ( avevano appoggiato l’invasione islamica in Sicilia come un importante contributo alla pace ed ora si sono ritagliati una concessione petrolifera a Sciacca) s’incontravano nei casino’ e nei locali notturni della Magna Grecia, tra le macerie dei vecchi templi demoliti per far spazio a tralicci, cavalletti, cisterne, depositi petroliferi, tubi che si protendono per chilometri nel mare oleoso e grigio. All’orizzonte, in mezzo allo stretto di Messina, si scorgeva i profili e le luci delle piattaforme in perenne attività. La corsa all’oro nero siciliana era già cominciata.