Magazine Racconti

Capitoli 13,14,15

Da Marcotrogi
Capitolo 13

– Buongiorno signor Mario! – Esordì Fiore. – Come va la vita?
– Buon giorno Fiore. – Rispose Mario con un sorriso di plastica, quelli di
pura cortesia.
– Passavo di qua e mi sono detto: quasi quasi vado a fare visita al signor
Mario, è un po’ che non ci vediamo, vero signor Mario?
– Già è un bel po’. – Rispose Mario, per niente contento della visita.
Mario non solo non aveva mai digerito Vincenzo Fiore ma, visto le sue
frequentazioni, ci teneva in particolar modo a che restasse il più lontano
possibile da lui e dalla sua attività.
Fiore era un ragazzotto di origine napoletana di circa venticinque anni,
con i modi di fare tipici del “guappino”. Aveva in passato lavorato come
cameriere anche per Mario, per fortuna solo tre mesi, giusto il tempo di una
stagione. Era il classico “sapientone” che sapeva di tutto e di tutti, sempre
pronto a dispensare consigli.
La famiglia signor Mario?
– Bene, tutti bene, grazie. – Rispose asciutto Mario.
– E i bambini come stanno? Saranno cresciuti adesso…
– Eh, appunto, loro crescono e noi s’invecchia.
– Già, ma li lascia sempre da soli a casa la sera? – Chiese in maniera un
po’ troppo inopportuna Fiore.
La domanda gelò Mario, non gli aveva mai dato abbastanza confidenza
perché lui potesse essere a conoscenza di certi dettagli della sua vita privata
e in più, quella frase, buttata lì senza troppi preamboli, aveva un suono parecchio
sinistro. Gli venne in mente il casuale incontro con l’Avvocato De
Santis al Pronto Soccorso, il ragazzo che parlava con lui, il racconto di Laura
e Fiore era amico stretto dell’Avvocato. Mario lo congedò in maniera sbrigativa
con la scusa che aveva da fare e telefonò subito al suo amico Luca.
– Quindi voi dì che potrebbe esse’ tutto a scopo di estorsione? Il bersaglio
non sarebbe Laura, ma te? – Domandò Luca dopo avere ascoltato
attentamente il racconto di Mario. Non polemizzò sul fatto che gliene avesse
parlato solo adesso, non ne aveva voglia, aveva già discusso abbastanza
con il suo amico e non gli pareva il caso.

– Non lo so. – Rispose Mario, dal canto suo, sorpreso e incoraggiato che
Luca non lo avesse rimproverato. – Ma te immagina di portà un padre al
punto di di’: quanto volete per lascià ’n pace la mi’ figliola? Una sorta di
estorsione volontaria. Ma allo stesso tempo, tutto vesto tràffio per cosa?
Per chiéde de’ssoldi a un commerciante che riesce a malapena ’arrivà a
fine mese? Te lo sai Luca sei di ’asa, e di vesti tempi… è maiala!
– Ma il tu’ locale quanto potrebbe valé? – Lo interruppe Luca, mostrandosi
per la prima volta sulla stessa lunghezza d’onda di Mario.
– Boh!... Almeno trecentomila.
– Avrebbero cercato di plagià Laura, non riuscendoci sarebbero passati
alle maniere forti, all’omicidio? – Pose la questione Luca. – La ’osa sta in
piedi ma mi ’onvince meno il fatto che possano esse’ arrivati a usà il mezzo
dell’omicidio intimidatorio. Questa malavita di provincia non è capace e pò
non ha interesse a utilizzà certi sistemi, in una piccola città come Viareggio
farebbero troppo rumore e ’un gli ’onverebbe. Comunque non è una ’osa da
sottovalutà, farò de’ ccontrolli e te Mario tienimi al corénte, qualsiasi altra
cosa succeda o ti venga in mente, magari questa volta un po’ prima, eh!
Concluse Luca, con un leggero ed affettuoso tono polemico.
– Aspetta! – Lo fermò Mario. – Che sta succedendo Luca?
– Te stai tranquillo, magari ’un lascià più ’ bbimbi a casa da soli, portali
piuttosto alla trattoria, lo so è un sacrificio per tutti ma forse è meglio. Cerca
però d’un allarmàlli, io intanto ti metto qualcuno dietro, ok? – Concluse Luca
abbracciando Mario e sentendo quell’orso per la prima volta tremare.
– Grazie Luca.
– E di che? – Rispose Luca. – A che servino sennò gli amici.
 

 Capitolo 14
La tranquillità ostentata davanti a Mario, non corrispondeva per niente al
suo reale stato d’animo. Luca era preoccupato, non riusciva a trattare questo
caso con la necessaria freddezza. L’incapacità di riuscire a darsi delle
risposte lo rendeva tremendamente nervoso e quando lui era nervoso,
s’incazzava. Fra l’altro, grazie alla collaborazione dell’Interpol, era stato
possibile effettuare anche il confronto vocale, sempre col mezzo telefonico,
fra Antonio De Felice e Laura, ma il risultato aveva dato esito negativo e,
non solo la voce di Antonio risultava a Laura completamente sconosciuta e
diversa da quella del misterioso telefonista ma, in più, il Dottor Antonio De
Felice, risultò pure essere afflitto da una forma piuttosto grave di balbuzie,
patologia che l’aveva costretto addirittura a rinunciare all’insegnamento per
dedicarsi esclusivamente alla ricerca. Nell’occasione venne anche confermato,
dall’Istituto Oceanografico di Trieste, l’alibi del Dottor De Felice, che
risultò per tutto il tempo indicato, imbarcato a bordo della nave “Neptunus”.
– Andiamo Rizzo! – Disse il Vannucci, evidentemente un po’alterato.
Salirono in macchina, Rizzo conosceva bene il collega, quando era così
incazzato la cosa migliore era stare zitto e lasciarlo sbollentare. Il Vannucci
come al solito montava in macchina dalla parte del guidatore senza curarsi
minimamente se poteva esserci qualcun altro e, soprattutto, se l’auto stessa
potesse essere di qualcun altro. Rizzo lo assecondava e si lasciava scarrozzare
in giro, guardandosi bene dal non commentare, fino a che non fosse l’Ispettore
stesso a rivolgergli la parola.
Stavano percorrendo via IV novembre quando, non curante di uno dei
tanti stop, evidentemente preso da altri pensieri, Luca si trovò all’improvviso
davanti un motorino.
– Attento Ispettò! – Urlò Rizzo, interrompendo istintivamente il suo voto
al silenzio.
Il colpo non fu eccessivamente violento ma abbastanza duro da far volar
per terra motorino e conducente.
– ‘Mmazza ‘e botta! – Disse Rizzo con le mani ancora aggrappate al
cruscotto.
Madonna Santa! – Esclamò il Vannucci.
Uscirono entrambi dall’auto correndo verso la persona per terra.
– Tutto bene? – Chiese preoccupato il Vannucci.
Il conducente del motorino si sfilò il casco.
– No! Nu’ se lo tolga! – Esclamò Rizzo invano, quando ormai il casco
era tolto.
Era una ragazza mora, dai capelli lisci e molto lunghi, bella, molto bella,
avrà avuto sì e no trenta o al massimo trentacinque anni. Indossava un paio
di jeans piuttosto attillati e un giubbottino di raso lucido, rosso, con delle
scritte tipiche dei college americani. Stava seduta per terra e con il casco in
mano e se la rideva talmente di gusto che presto finì col contagiare anche i
due poliziotti.
– Vuole ’e chiami un’ambulanza? – Domandò il Vannucci cercando di
ricomporsi. – Sono un funzionario di Polizia, stia tranquilla, è colpa mia me
ne assumo tutte le responsabilità.
– No, non si preoccupi. – Rispose la ragazza, cercando nel frattempo di
rialzarsi, mentre Rizzo, invece, la esortava a non muoversi.
– Siete molto gentili ma ve l’ho detto, non è niente, piuttosto… il motorino…
– Disse preoccupata la ragazza, guardando il motorino a terra adagiato
su di un fianco con sotto la pozza di un liquido che, dall’odore che emanava,
sembrava carburante.
– Rizzo! Chiama il carro attrezzi! – Disse il Vannucci a Rizzo che nel
frattempo era rimasto incantato dalle forme dei jeans della ragazza.
– Che ore sono? – Chiese la ragazza.
– Le undici. – Rispose Luca.
– Dio mio! Arriverò in ritardo... oggi è il primo giorno. – Disse preoccupata
la ragazza.
– Il primo giorno di cosa? – Chiese Luca.
– Il primo giorno di lavoro, finalmente ero riuscita a trovarne uno e adesso…
accidenti!
– Mi dica dove deve andare che la accompagno io. – Si offrì con entusiasmo
Luca.
– In darsena, in un ristorante.
Salirono in macchina mentre Rizzo cercava di spostare il motorino sopra
al marciapiede.
– E mò che sta’ ffa’? Noo! ...Anvedi! Pure a piedi adesso! – Esclamò
Rizzo guardando Luca e la ragazza allontanarsi in auto. – ’N sé preoccupi
Ispettò! Tanto avo voglia dé fa’ du’ passi! – Gli gridò dietro il sovrintendente.
Passato il ponte di ferro, al semaforo, Luca girò a destra imboccando via
Coppino.
– Dov’è che devo lasciarla? – Chiese Luca.
– Ecco qui!
– Qui? Alla Trattoria sul Porto? – Domandò Luca sorridendo. – Ma
guarda un po’ le l’oincidenze avvolte…
– Perché lo conosce questo ristorante? – Domandò la ragazza.
– Se lo ’onosco? Questo è il ristorante di Mario, il mio migliore amico.
La ragazza scese, ringraziando Luca per la sua gentilezza.
– Aspetta! – Disse Luca.
– Io mi chiamo Luca e tu?
– Silvia. – Rispose la ragazza, evidentemente soddisfatta che lui glielo
avesse chiesto.
– Beh... ciao! Salutami Mario il proprietario e ’un ti preoccupà, al motorino
ci penso io. – Disse Luca. – Piuttosto, tu dovessi avé de’ problemi
fammi sapere, d’accordo? Ispettore Luca Vannucci, Commissariato di
Viareggio, ricordatelo.
– Sì, va bene. Ciao e grazie del passaggio! – Rispose la ragazza chiudendo
la portiera.
Capitolo 15
 
10 maggio 2007:
Il quartiere Varignano era la zona popolare di Viareggio, aveva guadagnato
una certa e ingiusta fama grazie a qualche personaggio che, in passato,
si era particolarmente distinto nell’arte di arrangiarsi, ma a parte questo
non lo si poteva definire propriamente un quartiere malfamato. Era comunque
il quartiere dove aveva sede l’impresa di costruzioni del De Santis e
dove vivevano alcuni personaggi che orbitavano intorno ai suoi affari. Il bar
Moretti era il punto principale di ritrovo.
Il sovrintendente Michele Rizzo abitava anche lui al Varignano, era originario
di Roma, aveva trentadue anni, un tipo basso, tarchiato, andava fiero
del fatto che qualcuno diceva somigliasse all’attore Ricky Memphis. Effettivamente
già per il suo accento capitolino, poi per lo stesso modo di vestire,
Rizzo ricordava in un certo modo l’Ispettore Belli del serial TV: “Distretto di
Polizia” e a lui stesso, in fondo, la cosa non dispiaceva, anzi, all’occasione
non disdegnava per niente marciarci sopra sebbene, questi suoi atteggiamenti,
facessero parecchio incazzare il Vannucci che, piuttosto, era l’esatto
contrario del classico “sbirro” televisivo.
– Che bevi Ciro? – Domandò Rizzo rivolto a un tipetto sulla quarantina,
senza capelli, magro come un chiodo e alto non più di un metro e cinquanta.
– Ueeh! Commissà! Che piacere! Lasciatelo a me l’onore di offrirvi da
bere.
– Quando sarò Commissario me pagherai da bere. – Rispose Rizzo.
Al Varignano c’era una alta percentuale di originari campani, la maggior
parte di loro lavoravano nell’edilizia. Il bar Moretti era il punto di ritrovo di
questa piccola comunità e, nel contempo, il centro di reclutamento della
manodopera a “giornata”, molto utilizzata dalle Imprese dell’Avvocato De
Santis. Rizzo, da buon poliziotto, aveva fin da subito individuato i luoghi e i
contatti giusti per sapere, quando ce ne fosse stato bisogno, quello che c’era
da sapere e, al bar Moretti, bastava solo aver pazienza e capire al volo poi,
se c’era qualcuno che aveva qualcosa da raccontare, sarebbe venuto alla
fine a raccontarlo lì.
– Se té faccio un paio de domande mò che fai? Mé risponni oppure té
devo portà in Commissariato?
– Al bar Moretti fanno nù caffè che è quasi cumme chillo e Napule, –
rispose Ciro, – ma nu’ n’è cumme chello e Napule. Pe’ bere il vero caffè
napoletano bisogna pigliàllo a Napoli, mi capiscìste Commissà! – E avvicinandosi
a Rizzo a bassa voce disse: – Stasera sul mare a Torre del Lago,
davanti alla rotonda a mezzanotte. Forse c’ho qualcosa di interessante pe’
voi. Buona journata, Commissà!
Quando Rizzo arrivò erano le undici e mezzo. Accostò sul bordo della
strada, un centinaio di metri prima della rotonda. Sapeva perché Ciro gli
aveva dato appuntamento lì, essendo il suo informatore, non era la prima
volta che si incontravano in posti strani o perlomeno ambigui. La Marina di
Torre del Lago, come scendeva il sole, era frequentata da personaggi equivoci,
in genere coppie o gay in cerca di forti emozioni e pure Ciro Vitiello
non disdegnava certi incontri “emozionanti”.
Praticamente tutti lo sapevano e quindi nessuno ci avrebbe fatto caso più
di tanto se avessero visto Ciro lì, parlottare con qualcuno. Rizzo invece ci
faceva caso e la cosa gli scocciava e non poco.
Arrivò mezzanotte, Rizzo scese di macchina e s’incamminò a piedi alzandosi
il bavero della giacca per non essere riconosciuto. Oltrepassò il
muretto che separava la strada dalla spiaggia e s’incamminò verso il mare.
C’erano altre persone che “girottolavano” sulla spiaggia, così, per evitare di
essere visto, Rizzo passò sui lati della spiaggia meno illuminata, costeggiando
il bagno Stella del Mare fino ad arrivare quasi sul bagnasciuga. Si guardò
intorno ma non riconobbe Ciro in nessuno di quei frequentatori notturni della
spiaggia.
“E sì, vista ’a altezza da corazziere, nu’ dovrebbe esse’ difficile isolàllo”,
pensò Rizzo.
C’era sulla sua sinistra, verso Vecchiano, una sdraio aperta rivolta verso
il mare con qualcuno seduto sopra. “Ecco’ llà”, pensò Rizzo, “mò sta a
prènne ’a tintarella de luna”. Si avvicinò velocemente sempre più convinto
che fosse lui. Gli arrivò da dietro e quando fu alla distanza utile per poggiare
la mano sulla sdraio, ancor prima di poter dire la battuta che intanto si era
preparato, si bloccò di colpo ed estrasse la pistola. Si girò intorno a 360
gradi, non vide nessun’altro. Tornò a guardare verso la sdraio, Ciro Vitiello
era disteso sulla sdraio con le braccia aperte quasi a toccare la sabbia, i
pantaloni e le mutande abbassati fino alle caviglie. Giaceva con gli occhi
sbarrati, sotto il mento un foro, punto di origine di una quantità notevole di
sangue che aveva oramai colorato tutto il collo, il petto e la sdraio di un unico
colore, rosso.
– Il referto della scientifica dice che è stata usata la stessa arma, una
calibro 9x21, sempre col silenziatore e sempre a bruciapelo, un colpo unico
e mortale, sparato proprio mentre… diciamo “veniva”. ’Nsomma, pensava
de venì e ’nvece partiva! ’N sò se me spiego Ispettò. – Concluse Rizzo.
– Sempre spiritoso eh Ispettore Culligan? – Disse il Vannucci a presa
per il culo – Ammettilo che invece ti sei càato ’n mano.
– Ma che sta ’ddi’ Ispettò, mò adesso nun esageramo… diciamo che nu’
m’ aaspettavo. Comunque, tornando al matto, adesso sappiamo che è pure
frocio. – Disse Rizzo.
– Chi? Ciro? – Domandò il Vannucci.
– No, l’assassino, che Ciro era frocio ’o sapevamo già, il killer invece è
un frocio furbo che gli ha fatto ’r serviziétto col palloncino, che poi ha fatto
sparì pe’ nu’ lascià tracce de saliva, capito er frocio! Cè stanno, infatti,
tracce de lubrificante da profilattico.
– Già! – Disse il Vannucci. – Sembra una cazzata, ma se non altro restringe
il cerchio: un metro e ottanta e nel giro de’ ggay, o meglio, non credo
che qualcuno gli avrebbe fatto mai il “servizietto”, come lo chiami te, prima
d’ammazzàllo, se non era anco lu’ finocchio. Anche perché sembra chiaro
che chi l’ha ammazzato si trovava proprio li, diciamo… in “quella zona”.
Dice così il referto della balistica riguardo a traiettorie e cazzi vari no? E poi
fa sparì le tracce, dunque vol di’ che ha paura d’esse’ identifiàto, cioè che
probabilmente è nella lista de’ ssospettati.
– Vole di’: traiettorie e cazzo de Ciro caso mai. – Fece la battuta Rizzo.
– Sì serio per favore, credo che la cosa si complichi invece: supponiamo
che sia gay, un gay che ha perso la testa per Laura… dai, la ’osa ’un istà ’n
piedi. – Disse scoraggiato il Vannucci.
– Se chiamano bisex! Se deve aggiornà Ispettore.
– Te invece vedo che sei piuttosto aggiornato eh! Sarà meglio che mi
camìni davanti d’ora ’n poi?
– Se preferisce fa’ ’a parte de quello che sta dietro Ispettò, faccia pure!
Mo m’adàtto.
– Ma vaffanculo! – Rispose il Vannucci tirandogli dietro la spillatrice.
– Bono, bono Ispettò, stavo a scherzà, nun se scaldi, piuttosto aspetti, c’è
dell’altro! – Riprese Rizzo. – Hanno trovato un’altra collanina.
– Un’altra collanina di perline? – Chiese il Vannucci.
– Sì Ispettò, come quell’altra.
In effetti il nuovo omicidio creava ancora più confusione di quanta non
ce ne fosse già, l’Ispettore Vannucci doveva per forza di cose cercare di
fare il punto della situazione e “le piste”, pensò, “erano tre. 1) Lo psicopatico
che s’invaghisce di Laura, non si mostra perché magari menomato, complessato
e al momento che si rende ’onto di perderla comincia a uccide,
lasciando delle firme come tutti gli psicopatici. Ma perché usà l’identità del
De Felice e della sua famiglia? Com’è che li ’onosce così bene? E poi Laura
ha parlato con i De Felice. 2) I De Felice stessi, coinvolti in un macabro
gioco con posta evidentemente milionaria. Un complice esterno che telefona
e opera sul posto e che comincia a uccide al momento che si rende ’onto
di perde’ il controllo di Laura. Uccide per spaventarla e portarla di nuovo al
gesto sconsiderato, che poi è l’obbiettivo finale del gioco. L’uso della SIM,
intestata ad Andrea De Felice, semplicemente una regola del giòo, la collanina
una firma segnapunti. 3) La malavita locale, con uno spietato sistema per
estorce’ denaro o addirittura la trattoria a Mario. E i De Felice? Fanno parte
anche loro dell’organizzazione? Ma perché mostràssi e méttisi ’osì allo scoperto?
E la collanina? Mh… tante suggestioni e poi indizi. In tutti e tre i casi,
comunque, Ciro Vitiello è morto perché ha visto, ha visto un assassino alto
un metro e ottanta, bisex, e molto furbo”.
Gli venne in mente, all’improvviso, il racconto di Mario del Pronto soccorso
a proposito di quel ragazzo alto col pizzetto che parlava con De Santis
e che avrebbe poi fatto visita a Laura. Doveva saperne di più, aveva bisogno
di una descrizione dettagliata di quel ragazzo, doveva essere individuato.
– Pronto Mario! Devi venì subito in Commissariato, porta anche Laura.
– Che succede? – Rispose Mario, evidentemente allarmato.
– Niente stai tranquillo, sto solo facendo il Poliziotto, t’aspetto, ciao.
Vennero passati al setaccio tutte le foto segnaletiche di individui con
precedenti penali corrispondenti alle descrizioni fornite dai Maffei, finché
non saltò fuori la sua faccia e il suo nome:
Carmine Iorio, nato a Napoli il 25 Marzo 1978 e residente sempre a
Napoli in via Luca Giordano 190, precedenti penali per truffa.
15 maggio 2007, Napoli, Commissariato Centrale
– Signor Iorio, cosa ci faceva lei la sera dell’8 aprile 2007, per la cronaca
il giorno di Pasqua, al Pronto soccorso Versilia di Lido di Camaiore? – Domandò
l’Ispettore Ingargiulo del Commissariato centrale di Napoli.
– Accompagnavo un amico che si era sentito male. – Rispose Carmine
Iorio.
– E l’amico conferma essere l’Avvocato Guido De Santis?
– Sì.
– Che rapporti ha con l’Avvocato De Santis?
– Niente, è un amico di famiglia, è sempre stato il legale della mia famiglia.
– La notte a cavallo tra l’8 e il 9 aprile, ha fatto visita alla signorina Laura
Maffei, sempre nello stesso ospedale?
– E chi è? Nun l’ha conosco proprio chista… signurina Laura.
– Si reca spesso in Versilia, signor Iorio?
– Qualche volta, pe’ lavoro.
– E che lavoro svolgerebbe in Versilia?
– Quadri, commercio quadri, tutta roba pulita eh!
– Conosce qualcuno della famiglia De Felice?
– De Felice? Nu’ conosco a niscuno con questo cognome, sono di Napoli?
– Dove si trovava la sera del 21 Aprile?
– Posso dirle di sicuro che in quei giorni mi trovavo a Napoli, lo possano
confermare molte persone ma francamente non riesco a ricordare dove
potessi essere o cosa stessi facendo a quell’ora.
– E la sera del 10 Maggio? – Continuò serrando il ritmo l’Ispettore
Ingargiulo.
– Ecco lì posso essere più preciso. Era il compleanno della mia ragazza
e siamo andati a mangiare da “Vincenzino” e poi a ballare allo “Skylab”,
sempre qui a Napoli naturalmente.
Non emerse niente che potesse almeno somigliare a un indizio, tutta la
storia continuava a essere avvolta da una misteriosa e fitta nebbia.
continua...
"Persone che non c'erano"
è edito da ZONA Editrice, per la collana ZONA Contemporanea.
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