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“Il Filosofo”– Ledàa!... Oh Léda!– Che vvoi Beppe?!– Ti s...

Da Marcotrogi
“Il Filosofo”
– Ledàa!... Oh Léda!– Che vvoi Beppe?!– Ti sérvin’ du’ cipolline?– Sì vai!– Vieni di và, pìgline quante te ne pare!– Nòo! Me ne bàstin’ du’ o tre! …Lo sai no? Son’ da sola...


Capitolo 1


– Io un giorno o l’altro l’ammazzo! – Borbottò Laura, nascondendosisotto il cuscino. – Ogni domenica la stessa storia.Era l’unico giorno della settimana non governato dalla sveglia, mamma epapà erano già usciti e Chiara dormiva ancora, “se non ci fosse stato quelrompipalle”, pensò Laura, avrebbe tirato dritto fino a mezzogiorno. Massimonon poteva costituire problema poiché, se non usciva per andare a giocarea calcio, avrebbe anche lui dormito fino a tardi o si sarebbe sicuramente“auto ipnotizzato” davanti alla Playstation. L’unico problema restava sempree solo lui: il “Filosofo”.La finestra della camera di Laura dava proprio sul campo di Beppe, il“Filosofo”. Lo aveva battezzato così Mario, il padre di Laura, perché amavaimbarcarsi sempre in ragionamenti e filosofie tutte sue, magari talvolta anchecondivisibili, ma sicuramente molto pittoresche. Era un uomo alto e magro,sulla settantina che, bisognava dire, portava piuttosto bene. Dopo aver lavoratoper anni nell’edilizia, adesso si godeva la pensione dedicando in praticatutta la giornata al suo orto che, a onor del vero, coltivava con rara maestria.La cosa che più innervosiva Laura era il tono e il volume della sua voce. IlFilosofo, infatti, riusciva ad avere lo stesso tono forte e roboante anchequando pensava. Lei non lo odiava ma se lo avesse potuto cancellare dallafaccia della terra, lo avrebbe sicuramente fatto.Ogni domenica mattina, quindi, senza nemmeno la delicatezza di attendereche scoccassero almeno le otto, lui andava inesorabilmente in scena e,se per caso non aveva nessuno con cui chiaccherare, piuttosto cantava o silasciava andare all’esternazione di profondi monologhi esistenziali, il tutto,sempre e comunque, con la precisa volontà di interferire col normale enaturale corso delle abitudini dell’intera umanità.Poi c’era Leda, l’inquilina del piano di sotto; vedova ormai da anni, con lamorte del marito aveva riscosso una cospicua cifra dall'Assicurazione, chel’aveva trasformata in una delle persone più stimate e corteggiate del paese.Aveva circa sessant’anni e non c’era giorno che non ricevesse la visita diqualche parente o di qualche paesano, il quale ritualmente si presentava a leicon piccoli doni, offrendo immancabilmente la propria disponibilità a prestarsiper qualsiasi favore mai lei avesse avuto bisogno, in pratica una sorta diprocessione con tanto di Re Magi.Laura si era convinta che il filosofo, nonostante fosse felicemente sposato(non si sa se altrettanto sua moglie), in qualche modo con la Leda ciprovasse, se non altro per non essere da meno a tutto il resto del paese.Era una bella domenica di febbraio, fuori l’aria era ancora fredda, Laurasi coccolò al tepore delle coperte come con un caldo amante da cui eraimpossibile staccarsi, ma erano le nove e tanto valeva a questo punto alzarsi.Mamma e papà erano già usciti, il lavoro non concedeva loro nemmenola domenica e Chiara dormiva ancora come un angioletto accanto a lei. Con labambina, Beppe poteva ben poco, quando la piccola diceva di dormire neancheun terremoto l’avrebbe svegliata, figurarsi quanto mai avrebbero potutodisturbarla i suoi monologhi filosofici.Massimo, come da copione, era già sveglio, aveva per prima cosa raggiuntola cucina e, dopo essersi preparato accuratamente la sua“colazioncina”, vegetava come uno “zombie” davanti alla televisione, intentoa consumare quel suo primo pasto mattutino consistente in una tazzaformato piscina di caffèlatte e un pacco intero di biscotti, dei quali, come alsolito, ne sarebbero rimaste ben poche briciole.Laura oramai rassegnata, scese anche lei in cucina; mise su il caffè econ rituale gesto controllò il telefonino; non c’erano messaggi. Si versò unatazzina di caffè e si sedette al tavolo della cucina con lo sguardo perso nelvuoto, in quel nulla dove avrebbe voluto volentieri far sparire per semprequel rompi palle del Filosofo.Il telefonino cominciò a vibrare, era Federica.– Laura?– Ciao Fede. – Rispose Laura.– Sei già sveglia? – Domandò Federica.– Beh, se ti rispondo, te che dici?– Mi sbaglio o ci siamo alzati un po’ pòino di traverso stamattina? –Commentò Federica.– Va beh... diciamo che non è il massimo del bongiorno, ti basta o vòi unresoconto più dettagliato?– No, no per l’amor di Dìo… è sufficiente. Non vorei prénde ancò iod’aceto. – Rispose prudentemente l’amica.Ormai, Laura e Federica, si conoscevano fin troppo bene e avevanoimparato entrambe a capire quando era il caso di girare a largo, l’una dall’altra.In fondo erano due ragazze caratterialmente molto simili, unite daglistessi sogni e dagli stessi problemi, per loro, quindi, non era mai stato poi cosìdifficile comprendersi.– Vediamo se riesco a ffatti passà ’l nervoso, – disse Federica, – ho unoscoop eccezionale!Laura passò improvvisamente dall’inquieto torpore alla curiosità.– Scoop?! Dimmi, dimmi!– Non ci crederai mai...– Dai ti prego, ’un mi tené sulle spine.– Ieri sera la Stefy… ha tradito Carlo.– Coosa?! – Rispose stupita Laura. – E come fai a sapéllo?– Me l’ha detto la Cristina, però te ’un sai nulla, mi raccomando ’un misputtanà. Senti ora ’un posso parlà, c’è mi’ mà che mi ronza ’ntorno, cisentiamo più tardi per i partiolàri, ciao, ciao! – Concluse Federica,riattaccando.


Capitolo 2La domenica c’era sempre una certa agitazione nella trattoria ma oggipiù che mai fremevano anche i muri, era un giorno speciale, c’era l’ultimocorso di Carnevale e Mario, da grandissimo pignolo che era, non stava fermoun attimo.Normalmente la sua meticolosità stuzzicava istinti omicidi a chiunque glipassava vicino ma in particolare nelle grandi occasioni, tutto doveva esserepiù che perfetto e in ordine e, finché era la sala il centro della sua attenzione,le cose andavano bene ma quando la sua attenzione si spostava alla cucina,lì arrivavano i dolori.Rosa non sopportava le sue continue verifiche e le aspre critiche e lacosa che la faceva più di tutto andare in bestia era quando Mario cominciavaad assaggiare e a correggerle ogni pentola. La cucina era il suo territorioe lei, da buona meridionale, non tollerava essere criticata né, tantomeno,essere ripresa. Era una donna forte con un carattere deciso e modi di farepiuttosto risoluti che a volte solo Mario poteva accettare e sopportare, maerano più di vent’anni che si tolleravano e francamente non era facile capirese si erano abituati o in fondo si divertivano così. Sta di fatto che Mariol’avrebbe di certo risposata e lei, magari borbottando, probabilmente avrebbefatto altrettanto. Rosa, nonostante i suoi quarantacinque anni, era ancorauna bella donna: bruna, occhi neri, prosperosa al punto che Mario aveva uncontinuo bel da fare per difendere il suo territorio. Lui ormai non se nepreoccupava più di tanto, aveva capito che comunque la gente lo temeva egli bastava semplicemente uno sguardo, per calmare i bollenti spiriti degli stupidi diturno.Mario Maffei aveva quarant’otto anni; robusto, pochi capelli e tanto orgoglio.Amava giocare e scherzare con tutti ma non sopportava i prepotenti,tanto meno chi osava oltrepassare quelli che lui definiva i limiti del rispetto.Era viareggino ma aveva assai bene assimilato, vivendo con Rosa, i principie la mentalità del sud.Mario e Rosa erano due buoni genitori, anche se entrambi avevano tempie modi che non coincidevano: Mario accusava Rosa di essere troppo duracon i figli, mentre lei lo rimproverava del contrario. Per essi, comunque,anche se con metodi diversi, sacrificavano ogni giorno la loro vita senzanessuna concessione. Già gestire una trattoria non era di per sé molto facile;gli orari, il contatto continuo con la gente che faceva di tutto per lasciarsiricordare, avere poi tre figli, rendeva le cose più complicate, non solo perchétre bocche da sfamare son sempre tre bocche, ma sopratutto perché farequel mestiere significava avere poco tempo da dedicare loro e, come se nonbastasse, i tre “piézz ’e core” in questione, non perdevano mai l’occasioneper rinfacciarglielo.– Mario! Rispondi al telefono, ho le mani sporche di pesce! – DisseRosa.– Chi voi che sia a ‘quest’ora. – Rispose Mario. – Si saranno svegliati’mmostri.Era Chiara, la più piccola.– Pronto papà, Massimo non mi fa vedé ’ccartoni.– Passami Massimo. – Rispose Mario.– Non vuol venire.– Dov’è Laura?– Laura è al telefono. Papà, hai finito di lavorare? Quando vieni? Lauranon ha ancora fatto da mangiare, io ho fàame!– Di a Laura di posà ’l telefono e di fa’ subito da mangià, sennò quandovengo a casa mi sente!I Maffei vivevano a Torre del Lago e da anni gestivano una piccolatrattoria a Viareggio, in Darsena. Era un’attività che li impegnava molto esoprattutto faceva condurre loro una vita troppo diversa dalle persone comuni:non c’erano feste, non esistevano domeniche, in pratica loro lavoravanoquando gli altri facevano festa e viceversa. Era oltremodo difficile cosìcoltivare anche delle amicizie e naturalmente questo tipo di vita, con le suedifficoltà, si rifletteva chiaramente anche sui figli, poiché alla necessità dilavorare, era legato l’obbligo di seguirli e non lasciarli mai da soli, soprattuttoChiara e Massimo che erano i più piccoli. Dopo deludenti esperienze convarie babysitter e in fondo anche per risparmiare, Mario e Rosa avevanocosì deciso di contare soltanto sulle proprie forze: organizzando dei turni, eraprevisto che, quando Mario e Rosa si trovavano al lavoro, Laura fosse responsabiledei suoi fratelli, mentre le volte che lei avesse desiderato uscirecon le amiche, Chiara e Massimo sarebbero restati in compagnia della la ziao con i genitori stessi alla trattoria.Laura era la figlia più grande, aveva diciannove anni ed era una ragazzacome tante e, come praticamente tutte le ragazze della sua età, sincronizza-va la sua vita con il cellulare. Lo portava sempre con sé e guai a chiunqueprovasse mai a sbirciarci dentro. Non era una brutta ragazza ma nemmenole si potevano attribuire particolari qualità che la potessero rendere interessantea primo acchito. Lei lo sapeva ed era forse per questo che non protestavapiù di tanto se capitava qualche volta di dover rinunciare a uscire perbadare ai suoi fratelli, magari quando uno di loro era a letto ammalato con lafebbre. Era una ragazza di media statura, i capelli lunghi, castani, leggermentemossi, fisicamente piuttosto “scarsa” in quelle cose che facevanogirare la testa ai maschietti e in più non metteva molto impegno per provarealmeno a valorizzare il poco in dotazione. Non era grassa ma nemmeno sipoteva definire magra, solo che quel poco di ciccia in più, madre naturagliel’aveva messa addosso nei punti più sbagliati. Una cosa aveva particolarmentebella, lo sguardo.Incorniciati dentro a ciglia lunghissime, c’erano bellissimi occhi chiari, tral’azzurro e il verde acqua, trasparenti, limpidi, capaci di ipnotizzare anche dadietro a quegli occhiali da “secchiona”, se solo lei lo avesse voluto. Peccatoperò che lei non lo avesse mai voluto, mai, infatti, era riuscita a guardarenegli occhi un ragazzo più di due secondi.L’unico modo in cui riusciva a essere un po’ più spavalda e sicura di sé,era dietro ad un computer o al suo telefonino: dopo alcune esperienze pocoelettrizzanti su Facebook, aveva scoperto un canale televisivo dove passavanoin sovrimpressione messaggi con numeri di telefono di ragazzi e diragazze in cerca di nuovi amici e lei, qualche volta all’insaputa di suo padre,aveva segretamente abdicato alla tentazione. Ogni volta però l’avventura sirivelava più una delusione che un appagamento ma, se non altro, la cosafaceva da carburante alle sue notturne fantasie.Massimo era il fratello mezzano, aveva dodici anni e viveva anche lui inun mondo tutto suo fatto però di pane e di pallone. Giocava, infatti, a calcioed era piuttosto bravino, anche se, opinione di tutti, sicuramente era moltopiù abile con la forchetta che col pallone. A proposito Laura sosteneva che,se si fosse trovata senza cibo da sola con lui in un’isola deserta, mai certamentesi sarebbe addormentata senza averlo prima saldamente legato.Infine c’era Chiara, la sorellina più piccola, aveva quattro anni ed era lacoccolina di tutta la famiglia, per lei non esistevano gelosie e tutti facevanoa gara a chi la viziava di più.Laura con la scuola aveva un buon rapporto, non aveva mai dato delusioni,tranne un anno scolastico perso per motivi di salute. Frequentava brillantementel’ultimo anno del liceo classico, dopo di che si sarebbe voluta iscriverealla Facoltà di Legge all’Università di Pisa, il suo sogno era diventareun Giudice.Non altrettanto buono era il rapporto con i compagni di scuola, forseperché, essendo di un anno più piccoli, Laura li trovava così superficiali eloro, di rimessa, pensavano che lei fosse una di quelle che se “la tirava”, diquelle che, insomma, amavano fare razza a parte. Nessuno quindi si preoccupavadi coinvolgerla in iniziative extra scolastiche e lei non ne faceva poiun dramma.Aveva solo due amiche, Stefania e Federica, ex compagne di scuolalasciate assieme all’anno perso, con le quali trascorreva ogni attimo di libertà,anche soltanto per telefono. Peccato che Stefania fosse fidanzata, conlei sicuramente ci sarebbero state più cose interessanti da raccontare, mac’era purtroppo meno tempo per farlo ed è così che Laura finiva per passarequasi tutto il tempo con Federica, anche lei come Laura sempre in attesadi qualcosa.Capitolo 3Quella domenica a Viareggio era previsto l’ultimo corso di Carnevale equesto rendeva Laura più acida del solito, lei non amava la confusione etantomeno il Carnevale.Al contrario di tutti i viareggini per Laura quella festa non era un particolaree sentito avvenimento ma soltanto una vera e propria scocciatura, chele faceva venire ancora meno voglia di uscire, di quanta normalmente già nepossedesse.Per il resto della popolazione, invece, il Carnevale era una cosa seria:c’erano addirittura famiglie che cucivano artigianalmente i propri costumi,mantenendo la segretezza della cosa come fosse un Affare di Stato, per poicon orgoglio sfoggiarli ai corsi domenicali o meglio ancora ai rioni, consideratida tutti i viareggini come il vero e proprio Carnevale.Nei corsi rionali non sfilavano i grandi carri allegorici della domenica inpasseggiata ma solo bande, cortei di mascherate e piccoli carri che ciascunrione presentava in una sorta di corso parallelo notturno. Una festa menospettacolare ma sicuramente di non minore importanza, dove si mangiava esi ballava al suono di piccoli complessini musicali e dove si avvertiva sicuramentemaggiore il sapore del Carnevale di una volta.Il corso della domenica, invece, era quello conosciuto in tutto il mondo:grandi carri allegorici di carta pesta colorata che sfilavano in un circuito checomprendeva la passeggiata e il viale a mare, in mezzo a una folla incredibiledi persone e tanti, tanti coriandoli. Era dunque un avvenimento moltoimportante per Viareggio, una secolare tradizione che si tramandava di generazionein generazione.Il Carnevale però non finiva certo lì: c’erano i veglioni, feste organizzatenei locali tipici della zona, c’era la “canzonetta”, una tipica rappresentazioneteatrale a carattere umoristico e in vernacolo viareggino, insomma, tutto unmese dove il viareggino vero e proprio, pensava solo “a ffa’ bbaldòria”,rimandando così i suoi problemi quotidiani a dopo il Carnevale. Questa era insostanza la filosofia del Carnevale a Viareggio.Comunque questa volta, con l’esca del pettegolezzo, Federica era riuscitaa convincere Laura a partecipare al corso. Federica l’aveva così costrettaa chiamare la zia e a modificare, quindi, tutti i suoi programmi per la giornata,che prevedevano come occupazione principale la meditazione e il sogno. Lazia sarebbe passata a prendere Laura e i suoi fratelli verso le quattro e assiemesi sarebbero recati a Viareggio, dove poi Laura avrebbe raggiunto Federicamentre la zia avrebbe portato i bimbi a fare un giro, naturalmente fuori dalcorso, perché lei proprio non se la sentiva di portare Chiara in quella bolgia.L’unico a non trovarsi molto d’accordo sul programma fu Massimo, che avrebbepreferito raggiungere gli amici ma, a dodici anni, suo padre non riteneva fosseancora il caso di mandarlo al Carnevale da solo, figurarsi poi all'ultimo corsoserale. Il ritrovo per il ritorno fu stabilito per tutti alla fine della manifestazionepresso la trattoria dei genitori, che in quel particolare giorno avrebbero fattouna sorta di unico servizio no-stop, da mattino fino a sera.Il corso cominciò alle 17:00.Laura odiava i coriandoli e chi per forza voleva divertirsi, mentre Federicaalmeno provava a far credere che si divertiva. Il motivo per cui Laura, seusciva, lo faceva con Federica, non era solo per il fatto che con lei se laintendesse in particolar modo, ma soprattutto, perché con lei accanto, si sentivameno brutta e quindi, un pochino più sicura. Difatti, se con Laura, MadreNatura era stata un po’ avara, con Federica era stata proprio stronza. Comedel resto altrettanto stronza, secondo Laura, era stata la stessa Federica peraverla convinta a partecipare a quell’ultimo corso di Carnevale, che lei per unpelo era quasi riuscita anche quest’anno ad evitare. Contenta o no, ormai eratroppo tardi e purtroppo tutto sembrava presagire, esattamente, quello Lauras’aspettava: un gran fracasso, una bolgia di persone che spingevano o arretravanoal passaggio di ogni carro allegorico, tanti coriandoli, tanto casino, troppo,veramente troppo per Laura che oramai era quasi allo stremo. A salvarla fuquel violento acquazzone che per tutta la giornata aveva minacciato Viareggio,un vero e proprio diluvio universale, mandato giù a secchiate, a freddare glispiriti e la voglia di baldoria carnevalesca di tutti i presenti.A trovare rifugio sotto la tenda della gelateria Pardini in passeggiata sarannostate una cinquantina di persone, tutte accalcate in cerca di riparo.Laura non riusciva nemmeno a respirare, i coriandoli che aveva addosso sierano tutti impastati con l’acqua, era isterica per lo stato in cui si trovava manel contempo contenta, finalmente l’incubo stava per finire. Il Carnevalevolgeva al termine, la gente cominciava a defluire rapidamente dalla passeggiatae anche Laura e Federica s’incamminarono così verso la Darsena,in direzione della trattoria dei Maffei.– Mamma mia ’ome siete cònce! – Disse Rosa vedendo arrivare Laurae Federica, zuppe di un intruglio d’acqua, coriandoli e schiuma spray. – Se tuc’avessi un cambio dietro, ti potresti fa’ ’na doccia, prendi un asciugamano,asciughiti almeno la testa. – Continuò Rosa preoccupata.A Laura bastava niente per ammalarsi, la sua salute piuttosto cagionevoleera stata da sempre un grosso problema per lei.– Così bagnata sta’ ssiùra che domani ti vién la febbre. – Disse Mario dadietro il bancone del bar.“Già la febbre, magari mi venisse, perlomeno me ne potrei sta’ un po’acasa da sola, per ì ccazzi mìi”, pensò fra sé Laura, immaginando quantoavrebbe goduto se ci fosse rimasta anche quel pomeriggio.– Anvédi quella, guardi che coscìne Ispettò! – Esclamò con quella suatipica calata romanesca il Sovrintendente Rizzo.– Io son qui tutto da strizzà e te pensi alla topa, oh Rizzo delafia, sii serio,siamo in servizio e sei anco ’n divisa, dai. Piuttosto Rizzo... lo sai che seibellino in divisa, sembri un “Pokemon”. – Commentò in modo più nostranol’Ispettore Vannucci.– Che fa Ispettò? Sta a prénne pe’er culo?– Ci mancherebbe altro, Sovrintendente Rizzo, constato, constato soltanto…– Ironizzò l’Ispettore.– Ispettò?– Oh, che c’è?– Ce ’a famo ‘na pizza quannò se smonta?– Rizzo, ma te nella testa c’hai solo topa e pastasciutta?– Veramente mò parlavo de pizza, Ispettò.– Mah… ammettiamo che sei di servizio in Afganistan e ti chiàppinoprigioniero ì ’ttalebani, a te, pe’ fàtti parlà, cos’è? Basta ’e ti fàccino saltà ’npasto?– Mò adesso nùn esageràmo.– E po’, già ti sopporto tutto il giorno, ti devo sopportà ancò a cena?...Neanche tu fossi una bella fia dai… comunque, vada per la pizza. – Conclusel’Ispettore.L’ispettore Luca Vannucci e il Sovrintendente Michele Rizzo erano inforza al Commissariato di Viareggio. Normalmente facevano parte del repartoinvestigativo ma il Carnevale e la necessità di maggiori risorse sulterritorio, li aveva portati di servizio alla porta d’accesso del corso mascheratoin piazza Mazzini. Pioveva come Dio la mandava e il turno per fortunastava per finire.– Ispettò?– Ariòh! Che c’è Rizzo?– Che ore se so’ fatte?– Maa… compràtti un orologino? No eh… Comunque sta bbòno, ’un milogorà, tra ’un po’ si smonta. – Rispose l’Ispettore.Erano le otto e venti e il Carnevale stava ormai finendo, purtroppo primadel previsto e senza il consueto gran finale con i fuochi d’artificio. La pioggianon cessava di tamburellare sopra i tettucci delle auto incolonnate inlunghe file, tutte alla ricerca di una via d’uscita da Viareggio. Le stradeerano un pantano di coriandoli, stelle filanti e acqua. Sul volto delle persone,che a piedi cercavano disperatamente di raggiungere la propria auto parcheggiata,la stanchezza aveva preso il posto della mascherata che, oramaiinutile, colava via, scivolando giù dai visi.La zia Marzia aveva riportato tutti a casa, una doccia e poi tutti a letto. Igenitori di Laura erano ancora al lavoro, Chiara si era già addormentata,mentre Massimo lo fece poco dopo e, come al solito, davanti alla televisione.“Finalmente”, pensò Laura salendo stancamente le scale per raggiungerecamera sua, “finalmente un po’di silenzio”. Era bastata una doccia caldaper togliere di dosso pioggia e coriandoli, ma il vociare e il baccano, che pertutto il pomeriggio le sue orecchie avevano dovuto subire, quello restavaancora vivo nella testa e ci sarebbe voluto una buona dose di silenzio attorno,prima che potesse, lentamente, svanire.Tutti dormivano, Laura non accese nemmeno la televisione come normalmenteavrebbe fatto, raccolse gli appunti e il libro di greco, non ne avevavoglia ma doveva ripassare, martedì avrebbe avuto un compito di greco. Néil latino né il greco erano il suo punto di forza e per questo era necessarioquindi portarsi un po’avanti. Si sdraiò sul letto, rassegnata a passare sui librialmeno un’ora prima di potersi finalmente lasciare andare tra le braccia diMorfeo. Non erano passati più di dieci minuti che le palpebre di Laura sifecero pesanti, la stanchezza stava per sopraffarla, quando la musichettadel telefonino la riportò di colpo in sé:– Pronto! – Rispose Laura, assonnata.– Laura?– …Ssi, chi parla?– Ciao! Mi chiamo Andrea, mi ha dato il tuo numero un amico che hadetto di averti conosciuto su “Messagges Box”, spero di non disturbarti.– E... chi sarebbe questo tuo amico, scusa? – Domandò Laura col cuorein gola, cercando velocemente di riprendersi e di ricordare ogni nome e ogniconversazione fatta in chat.– Stefano, te lo ricordi? Mi ha parlato molto di te e così… volevo conoscerti.Laura non ricordava praticamente niente e nessuno che potesse legarein qualche modo a questo nome e la cosa la preoccupava e imbarazzavamolto.– Beh, allora cosa vuoi? – Rispose Laura, cercando in qualche modo diriprendersi e di darsi un tono.– Niente te l’ho detto, volevo conoscerti, solo conoscerti. Se ti ho disturbato,riattacco, se ti ho infastidito, non ti chiamerò più.– Sì, cioè no... non mi hai disturbato, cioè… adesso stavo studiando,domani ho un compito importante.– Ah, capisco. – Disse lo sconosciuto, mostrandosi comprensivo. – D’accordo,allora non voglio rubarti del tempo prezioso visto che domani avrai uncompito così importante. Posso solo chiederti che compito hai? Di qualemateria?– Greco, ho una verifica di greco, martedì. – Rispose Laura.– Ah! Greco... ma non avevi detto domani? Domani è lunedì. – La corresselo sconosciuto.– Sì, no, lunedì, mi sembra… non ricordo. Ok, adesso devo andare, ciao,scusami ciao.Aspetta! Aspetta!... Posso richiamarti mercoledì per sapere come è andata?– Ssì… sì d’accordo, va bene, però a quest’ora, a quest’ora mi raccomando,non prima. Ora devo andare, ciao. – Concluse, chiudendo frettolosamentela conversazione Laura.Il sonno e la stanchezza sparirono di colpo, Laura passò il resto dellaserata a studiare, ma soltanto un’unica pagina e un’unica riga, nella testac’era solo quella voce: non aveva età, non aveva sesso, come quella di unangelo. Era calda, profonda, dolce, trasmetteva una quiete nell’anima chelei non aveva mai provato prima. “Andrea, chissà che tipo è? Forse ho fattomale a chiudere il telefono e se non mi chiama più?” Si era fatta quasimezzanotte e con queste domande in testa finalmente Laura si addormentòe sognò, sognò lui.Continua...



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