Lascio Geroldsgrün con la convinzione di dover tornare. Vado a Monaco.
Riporto l’auto al noleggio, e mi dirigo verso la stazione.
Nel frattempo, la radio continua a blaterare le stesse cose inutili di 25 anni fa, come se si fosse abituata al fattore vintage del mio walkman.
Ora che ci penso avrei potuto dire una frase ad effetto al tipo del noleggio auto. Qualcosa tipo “Mi servirà”. Meglio aver taciuto, piuttosto.
Forse avrei potuto condurre una trasmissione alla radio. Mi sarebbe piaciuto. Però penso sia questo il motivo per il quale ritengo banale la radio. Pura invidia.
L’aver già fatto questo tragitto induce in me una sensazione di déjà-vu. Un inutile déjà-vu.
Mentre ascolto blaterare, e blaterare, e blaterare, riesco incredibilmente ad addormentarmi. Me ne accorgo perché mi ritrovo fermo alla stazione di Monaco.
Quando esco dalla stazione, cerco Marty con lo sguardo, come se fosse riuscita a captare, in qualche modo, segnali della mia presenza.
Cerco una mappa delle fermate dell’autobus, e vedo che l’università dista solo poche fermate. Bene.
Acquisto due biglietti, anche se spero di doverne utilizzare solo uno. Riesco a prenderlo al volo, controllando a malapena che fosse realmente quello che mi servisse.
Mi trovo davanti l’università. E’ come una nave fantasma. Almeno per me.
Mi fa un certo effetto dover cercare Marty per il suo cognome, che per fortuna ho ritrovato sul diario.
Aula AA5. Sarebbe bello andare deciso, facendo svolazzare il cappotto lungo per tutto il corridoio, il problema è che non ho assolutamente idea di dove sia l’aula AA5. Chiedo indicazioni al primo che passa, per fortuna ne sa più di me.
Mi siedo a lezione già iniziata. Fa un certo effetto vederla così diversa, con gli occhiali squadrati, i capelli sempre corti ma con un taglio classico, i tatuaggi coperti dalle maniche lunghe, i buchi dei piercing cicatrizzati. Solo la voce e lo sguardo sono rimasti, per farmi ricordare di lei.
Anche sentirla parlare di popolazioni del Medio Oriente nell’epoca romana, mi fa pensare a quanto tempo sia passato, e a quanto si cambi, se solo si ha voglia. Io non ne ho mai avuta.
Accanto a me i ragazzi prendono vorticosamente appunti, e mi rendo conto che, forse, mi sarei dovuto accomodare più dietro dove penso si giochi a battaglia navale.
I pensieri si fermano sulla campanella. Un vuoto totale. Non so cosa fare, se andare o meno. Mi sento come se avessi 16 anni di nuovo.
Col tono più semplice del mondo mi fa: “Andiamo?”
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