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New York, 1995: quindici ragazzine decidono di suggellare con un patto suicida le loro ansie adolescenziali. Nel giro di un paio di settimane otto di loro tentano il suicidio: chi tagliandosi le vene, chi inghiottendo pasticche. Nessuna fortunatamente riesce nell’intento. Londra, 2004: due ragazzine, una di 13 e l'altra di 14 anni, decidono di uccidersi ingoiando un'overdose di sonniferi. La più piccola muore, l'altra finisce in ospedale in condizioni gravi. Si erano conosciute l’anno prima su internet.Denver, 2010: due gemelle australiane di 29 anni si sparano a vicenda alla testa con due pistole. Una muore all’stante mentre l’altra, nonostante le gravi ferite alla testa, sopravvive. Perquisendo le loro borsette, gli ufficiali trovano servizi di riviste, ritagli e lettere collegate al massacro avvenuto alla Columbine High School.Argentina, 2012: due ragazze, una di 16 anni e l'altra di 19, si impiccano con la stessa corda. Erano scomparse da casa il sabato e vennero ritrovate dopo quattro giorni, ormai prive di vita, in un terreno agricolo non molto lontano dalle loro abitazioni. Entrambe erano appena state lasciate dai fidanzati.Milano, 2014: due amici trentenni comprano una bombola di elio, la collegano con un tubo a due buste di cellophane, s’infilano le buste in testa e aspettano che il gas faccia effetto. Uno dei due insoddisfatto della vita, l’altro forse solo per onorare un patto suicida.
L’elenco potrebbe andare avanti all’infinito senza tuttavia permetterci non dico di fare luce, ma nemmeno di avvicinarci vagamente alle logiche che regolano queste allucinanti vicende. Perché? Forse per via di un malessere dovuto a delusioni sentimentali? Forse per via dell’incertezza del futuro? Questo non spiega tuttavia come tormenti interiori così radicati possano portare, nello stesso istante, più persone ad una decisione drastica, sancita da un patto che più o meno recita “Lo faccio io ma solo se lo fai anche tu con me”. La risposta potrebbe essere ancora più semplice di quello che crediamo: è l’amicizia portata all’estremo. Ricordate dove eravamo rimasti alla fine del quarto capitolo? Avevamo detto che, affinché una musica possa essere piacevole all’orecchio, ogni nota deve armonizzare con le altre. Avevamo ipotizzato che così come nella musica, l’armonia è l’essenza stessa dell’amicizia, del suo inizio e della sua fine. Il quinto capitolo di “Whispering Corridors”, a livello internazionale noto come “A Blood Pledge” (patto di sangue) cerca di spiegarci esattamente questo concetto.
Tre amiche, Yu-jin, Eun-young e So-hee, decidono di suicidarsi e scelgono di farlo assieme all'interno della scuola superiore che tutte e tre frequentano. Intrufolatesi nottetempo nella cappella della scuola, giurano solennemente di morire assieme, invocando una maledizione su chi fra di loro dovesse rompere quel patto di sangue. Qualcosa però impedisce loro di portare a termine i loro propositi e alla fine a perdere la vita gettandosi nel vuoto sarà Eon-ju, una quarta studentessa… Il tragico avvenimento sconvolge So-hee, che di Eon-ju era molto amica (sebbene negli ultimi tempi le due si fossero allontanate), ma la più sconvolta, comprensibilmente, è la sorella minore di Eon-ju, che accusa apertamente So-hee. Chi c'era sul tetto con Eon-ju la notte in cui morì? Ma soprattutto, Eon-ju si è davvero suicidata oppure qualcuno l’ha spinta?
Per scoprire i retroscena di quanto è accaduto occorrerà che i numerosi flashback ricompongano tutti i tasselli del puzzle, ma noi spettatori, sin dall'inizio, possiamo facilmente intuire che nessuna fra le tre ragazze che siglarono il patto di sangue è del tutto estranea a quanto accaduto. Tra queste So-hee però sembra davvero affranta e, naturalmente, le altre ragazze temono le conseguenze di ciò che l’amica, in preda al rimorso, potrebbe rivelare. I giorni successivi a scuola sono cadenzati da un estenuante rincorrersi di pettegolezzi, sospetti e accuse più o meno esplicite, mentre lo spirito di Eon-ju si aggira inquieto fino alla svolta finale che, onestamente, non riserva molte sorprese e tuttavia prelude a una conclusione poetica e commovente.
In questo quinto film, forse anche più che negli altri, i vivi si rivelano molto più terrificanti dei morti e finiranno per rivoltarsi gli uni contro gli altri. Sarà questo, e non tanto la maledizione in sé o il rancore di Eon-ju, a fare giustizia: un atto che al contempo proteggerà l'unica innocente fra le tre ragazze, o meglio la meno colpevole tra di loro. Si scoprirà infatti che Eon-ju, al corrente dei propositi suicidi di So-hee, si era offerta spontaneamente di morire con lei ed era perciò salita volontariamente su quel cornicione. Si scoprirà anche che gli avvenimenti che avevano portato a quella fatidica notte non erano affatto casuali, perché Eon-ju era la migliore studentessa della scuola e la sua prematura dipartita si sarebbe rivelata in futuro quantomai opportuna. So-hee deciderà di saltare dal tetto per restare accanto a lei per sempre, come in passato le aveva promesso, ma Eon-ju pretenderà da lei un diverso modo di onorare il loro patto…
Nel film non mancano momenti di tensione e di mistero né il solito repertorio di effetti, ma prima di arrivare a quel punto il tono resterà a lungo lento e intimista. La suspense latita per buona parte del film, ma ciò non deve sorprendere perché in fondo ciò che “A Blood Pledge” aspira ad essere è sopratutto il racconto, struggente, di un sentimento di amicizia che non conosce sosta, che lenisce e perdona e, soprattutto, che nemmeno la morte può scalfire. Ma a parte questo, a colpire è ancora una volta il contesto sociale nel quale si sviluppa la tragedia, che poi è anche la causa della futilità del movente. Yu-jin, brillante e cinica, abituata ad ottenere quello che desidera ad ogni costo, ed Eun-young la gregaria, picchiata dal padre e alla disperata ricerca di riscatto, sono personaggi negativi ma a modo loro anche tragici. È possibile uccidere per vedere il proprio nome in cima a un cartellone, o per avere l'onore di vedersi consegnare le chiavi della scuola, e desiderare di farlo ancora per eliminare la propria rivale in amore? La cronaca c'insegna che si uccide per questo e per ben altro, eppure l'incredulità rimane. Si torna quindi riflettere, di nuovo, sull'estrema competitività della società coreana – quando il valore di una persona si misura esclusivamente con il suo status quo e con ciò che ha ottenuto, l'avere trionfa sull'essere. Non è mai un buon segno.
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