Pensi sia un capriccio il mio? Pensi sia quello che sono, diretta, pungente, profonda, sottile (solo in senso letterario, per carità), E disgustosamente superficiale per CAPRICCIO?
Credi davvero che la tua verve mi stuzzichi? O i fatti tuoi m'interessino? Tu e le tue cose, i tuoi dettagli, le tue storielle, le tue gambette, le tue donnine, i tuoi piccoli e ingenui tentativi d'usare tempi verbali che non ti sono propri?
Non sei tu ad incuriosirmi. Non tu nella tua TUEZZA, almeno.
Al massimo tu come individuo preso random nel potpourri, anzi, nel pu-pp-urrì d'umanità. Le fobie, le paure, le debolezze. Le misere e tenerissime convinzioni. Le certezze. Quelle m'attraggono. La faccia spavalda. Quella che finge d'esserlo, ma si caca sotto. Il ciglio. Lo sguardo del master. Le ginocchia dello schiavo. Il battito che salta. Quello che accelera e fa scoppiare il miocardio. La strada. La maschera che hai scelto. Il mantello nel quale inciampi, tu, come tutti gli altri.
I difetti, Ciccio-pogigio, sono i difetti che ti rendono interessante, mica il resto. Il resto è standard. Passato il check-in, nemmeno si vede.
Non lo sai tu, Ciccio-pogigio, che l'unica cosa che ci mantiene al mondo è l'amore (come lo chiama la Poesia), è l'accoppiamento (zoologia), è la fusione (chimica e fisica) da cui nasce una nuova vita?
No, vero? Credo di no.
Perché tu pensi di non provarne, di non cercarlo. Di non volerlo. Di non crederci, illuso. Povero, povero illuso.
Solo quello, Ciccio-po-gigio, fa in modo che la comunità di cellule che portiamo in giro entrambi, stia in ballo ancora.
Ho' oponopono. Ciccio-po-gigio. Documentati.
Sai, Ciccio-po-gigio, è primavera, dovresti ridere, non sorridere, ma proprio ridere, a crepapelle, da pisciarti addosso, dovresti innamorarti, perdere la testa e aspettare con ansia e saltellando il cenno di qualcuno che - per una volta- vuole te come sei adesso, e non com'eri o come sarai o potresti, volendo, essere, ma proprio adesso, senza nemmeno che tu t'impegni troppo a raccontarti e a venderti.
Perché? Perché se non t'innamori, Ciccio-po-gigio, godi solo a metà.
Oh, certo, c'è la faccenda del per-sempre, vero?
Ah. Capisco. E ti spaventa...Non ne vuoi nemmeno sentir parlare.
Non ti piace, eh?
Sai una cosa? Non esiste. Non c'è. Il per-sempre l'hanno inventato quelli del marketing della De Beers. Prima non c'era. E nemmeno ora, c'è. Non c'è mai stato. Puoi stare tranquillo: non ci sarà comunque.
C'è solo il PER-ORA. E, dai retta a un'idiota, ti conviene godertelo.
Come lo so?
Me l'ha detto uno scoiattolo (mentre gli raccontavo la storia di un cowboy altissimo e di un'indianina - penna, non pallino- troppo alta per essere davvero indiana e troppo pallida anche, che forse forse aveva voglia d'innamorarsi, per una notte, una notte soltanto, e non perché di più non ne volesse, ma perché sapeva di non poterselo permettere, e l'indianina aveva gli occhi neri-neri, come il cowboy, e il cowboy le mani grandi e belle e lei aspettava lui, che forse non sarebbe mai arrivato, ma l'indianina lo voleva tanto e lo voleva come non voleva nessuno da un pezzo, perché lui ci sapeva fare davvero, per lo meno a voce, ah, sì, con la voce lui la faceva impazzire per davvero, e in effetti a fatti non avrebbe potuto dirlo, che non si erano mai visti, proprio mai, e comunque lei aveva deciso che non si sarebbe mossa, e che lui, se l'avesse voluta, anche una sola notte, anche una mezza volta, avrebbe dovuto cercarla e cercarla per bene e non è che l'indianina non fosse già inseguita da un sacco di pellerossa, tutti uguali, con lo stampino e il copione, e da qualche altro cowboy che già conosceva: è che lei voleva solo lui e lo voleva al punto che nel pieno della notte subito dopo aver cucito una yurta per un Gengis Khan qualsiasi, si metteva a pensare al cowboy, ferma. Zitta. Buona-buona. Riascoltava la sua voce. E si addormentava tranquilla).