Stamattina la notizia del ritrovamento, in Brianza, dei resti di Lea Garofalo, che sarebbe stata bruciata e non sciolta nell’acido. La sua famiglia è stata fortemente provata dalla vita e per un lungo periodo abbandonata dallo Stato. Ora, forse, Denise e Marisa avranno un luogo in cui portarle un fiore
Mancano tre giorni al terzo anniversario dalla morte di Lea Garofalo.
La notte del 24 novembre 2009, in cui Lea e Denise, arrivate dalla Calabria a Milano, vengono separate per sempre da Carlo Cosco, ex compagno e padre, ritorna con prepotenza proprio in queste ore, con una svolta assurda. Sono stati trovati in Brianza i resti di Lea Garofalo, che non sarebbe stata sciolta nell’acido, ma bruciata e poi sepolta in un campo.
L’ha saputo qualche giorno fa Denise, che da allora vive sotto protezione, che è stata staccata dalla famiglia due volte, prima dal padre, contro cui sta testimoniando per l’assassinio della madre, poi dalle regole ferree per i testimoni di giustizia, che non hanno salvato Lea ma che oggi allontanano lei, appena ventenne, dai pochi affetti rimasti in vita.
Santina, la nonna, è morta due settimane fa. È morta chiedendo giustizia per la figlia. È morta senza sapere che sotto la fredda terra del nord imprenditoriale esistevano ancora i resti di Lea. Ma è riuscita ad abbracciare per un’ultima volta la nipote, portata in gran segreto a darle l’estremo saluto. Marisa, la zia, l’amata sorella di Lea, ancora aspetta di abbracciarla. Vorrebbe affogare le proprie lacrime nelle sue. Vorrebbe cercare di consolarla con quei tratti del viso che tanto ricordano quelli di Lea. Vorrebbe non dover aspettare ancora.
Le ossa e alcuni oggetti sepolti in Brianza devono superare l’esame del Dna, ma sembra certo che si tratti di Lea.
Denise è là fuori, da qualche parte.
Sola con il suo dolore, con le sue domande. Sola come Marisa, sola come chi assiste alla seconda, alla terza, alla quarta morte della persona amata.
Lea è stata uccisa una prima volta dall’ex compagno. Una seconda volta l’abbiamo uccisa noi giornalisti, negandole persino il nome e facendola diventare “la donna sciolta nell’acido”. Una terza volta è stata uccisa nell’aula del tribunale in cui sono stati ripercorsi i suoi ultimi spostamenti, fino al buio di quella notte. E una quarta è stata uccisa quando nessuno ha risposto alla sua lettera in cui chiedeva aiuto, una lettera disperata pubblicata quando ormai nulla si poteva più fare per lei.
Forse adesso, con il ritrovamento dei suoi resti, agli interrogativi, alle domande senza risposta, si aggiunge un punto. Quello della pace. Quello di funerali che potranno essere reali, con la consegna all’eterno riposo di ciò che rimane di lei.
Eppure Lea è viva. Viva e forte, viva e determinata. Chiede giustizia, oggi come allora. Lea dovrebbe vivere in ciascuno di noi, con ciascuna di quelle parole che oggi, ancora di più, chiedono giustizia.
“Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia, isolata da tutto e da tutti. Ho perso tutto, la mia famiglia, ho perso il mio lavoro (anche se precario), ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di futuro, ma questo lo avevo messo in conto, sapevo a cosa andavo incontro facendo una scelta simile”.
Lea è morta per la libertà. È morta per le sue idee. È morta sapendo che stava andando a morire. È morta perché non è stata protetta a sufficienza. Cadono come macigni, una dietro l’altra, le ultime parole di quella lettera.“Personalmente non credo che esista chissà chi o chissà cosa, però credo nella volontà delle persone”. Cadono addosso come un j’accuse dal quale è difficile rialzarsi: “Ho bisogno di aiuto, qualcuno ci aiuti. Please!”. Please. [da "senza traga"] [sciroccoNEWS]
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