L’articolo 9-3-2015 di Cosimo Perrotta
A. Carabelli e M. Cedrini, Secondo Keynes. Il disordine del neoliberismo e le speranze di una nuova Bretton Woods, Roma: Castelvecchi, ottobre 2014
La fatale arroganza dei vincitori della Grande Guerra
C’è oggi un gran disordine nel sistema monetario internazionale, che certo non aiuta ad uscire dalla crisi economica mondiale. Da questo dato evidente partono Anna Carabelli e Mario Cedrini nel loro recente libro Secondo Keynes.[1] Gli autori lo definiscono un pamphlet; in realtà è un’analisi molto densa e fitta di riferimenti, sulle carenze dei vari sistemi monetari del Novecento, seguendo le interpretazioni di Keynes.
In principio era il gold standard, il sistema di cambi fissi e di libero scambio in cui le monete erano valutate in base all’oro. I paesi garantivano il cambio della valuta in oro e gli aggiustamenti erano automatici. I debiti di un paese erano pagati in oro, e gli spostamenti dell’oro determinavano i tassi di interesse dei prestiti. Un deficit nella bilancia dei pagamenti di un paese causava tassi d’interesse alti, e ciò a sua volta deprimeva i salari.
Il sistema, dominato dalla Gran Bretagna, assicurò la stabilità economica dal 1880 al 1914. Il gold standard tuttavia non era la Golden Age (l’età dell’oro), dato che impediva di allargare la spesa pubblica per sostenere gli investimenti o i consumi dei ceti poveri. In sostanza, secondo lo stesso Keynes, quel sistema non aiutava i paesi meno forti a svilupparsi.
Dopo la grande guerra, inglesi e americani non riuscirono a ripristinare stabilmente il gold standard. Negli anni Trenta prevalsero il disordine e le tendenze non cooperative. L’accanita concorrenza internazionale spinse al protezionismo. Keynes fu il grande critico degli errori che avevano portato a questa situazione. I vincitori della guerra avevano imposto ai tedeschi risarcimenti così ingenti che la Germania non sarebbe mai riuscita a pagarli, con l’intento di “annichilire economicamente la Germania” (p. 66). In queste condizioni, prevalse un’accanita concorrenza tra paesi, una politica mercantilista in cui ognuno cercava una crescita trainata dalle esportazioni. Ma in questo gioco il guadagno di un paese era la perdita di un altro (gioco a somma zero).[2] I paesi creditori, dice Keynes, “impongono la povertà [agli altri] esportando disoccupazione” (p. 56). Questa fu la premessa per passare dalla guerra commerciale alla guerra militare (la seconda guerra mondiale).
Contro questa tendenza, Keynes propone il progetto dell’ “International Clearing Union”, dove afferma: «Quando c’è una mancanza di equilibrio nelle transazioni commerciali … l’onere dell’aggiustamento non dovrebbe ricadere, com’è avvenuto in passato, quasi totalmente sul Paese più debole, ossia il debitore”. Egli delinea un sistema che obblighi tutti i paesi ad avere “una giusta parità di bilancio”. Per i paesi creditori “l’accumulo del surplus in eccesso sarebbe stato tassato, a interessi crescenti”. Prevede anche il controllo dello spostamento di capitali, “per evitare, dicono gli autori, che la speculazione potesse arrivare a dettare le politiche da seguire all’interno” (pp. 60-61). Il piano, essi dicono, mira non solo a ridurre gli squilibri, ma anche a prevenirne l’insorgenza. Keynes prevedeva anche lo stockaggio delle materie prime e dei prodotti agricoli, per sostenerne i prezzi (cosa che oggi sarebbe utilissima).
Se il gold standard rendeva difficile lo sviluppo dei paesi emergenti, l’anarchia delle politiche fra le due guerre lo rese impossibile. Inutilmente Keynes insistette perché venissero condonati i debiti agli sconfitti (fino a dimettersi dal tavolo delle trattative di pace). Egli mostrò che un governo monetario mondiale passava necessariamente da forme di solidarietà che aiutassero lo sviluppo dei più deboli attraverso un liberalismo controllato, non selvaggio.
Il condono del debito, che egli chiese per tutti gli anni Venti, viene assimilato da Carabelli e Cedrini alla teoria antropologica del dono enunciata in quegli stessi anni da Marcel Mauss. Anche Mauss chiedeva alla Francia di non infierire sui debiti tedeschi. Questa analogia non convince: il dono di Mauss è una forma di concorrenza per il potere, mentre quello chiesto da Keynes era un atto di solidarietà, sia pure fatto nell’interesse di entrambe le parti.
Keynes tornò ancora su questi concetti nella preparazione dell’accordo di Bretton Woods per un nuovo sistema monetario mondiale. Ma nel corso di quelle trattative gli USA rinunciarono all’iniziale progetto roosveltiano di un New Deal internazionale. E la storia, in parte, si ripeté.
[1] A. Carabelli e M. Cedrini, Secondo Keynes. Il disordine del neoliberismo e le speranze di una nuova Bretton Woods, Roma: Castelvecchi, ottobre 2014.
[2] Gli autori chiariscono bene l’apparente contraddizione di Keynes sui mercantilisti: egli elogiava la loro politica nazionale di attivazione produttiva dei capitali, ma condannava la strategia del commercio estero come guerra di tutti contro tutti. Le politiche mercantiliste infatti nascono senza l’idea di un equilibrio, e ancor meno di una cooperazione, internazionale.