Quante volte, sui Mass Media, abbiamo sentito parlare di distruzione dell’habitat e della sua conseguenza più diretta, l’estinzione? Già, ma cosa vuol dire che una specie è estinta? Cerchiamo di far luce sulla questione: si definisce estinzione la totale scomparsa di una determinata specie di organismi viventi, ovvero non esiste più nessun esemplare in vita di quella specie. Ma com’è possibile che un’intera specie svanisca? Ci possono essere molteplici cause: l’improvviso mutamento delle condizioni ambientali, la comparsa di una specie concorrente o predatrice, una malattia, un evento catastrofico (un’eruzione vulcanica, l’impatto di una meteora, l’inondazione di un bacino, ecc.) parlando di sole cause naturali. A queste va aggiunta l’azione della nostra specie che, con la caccia eccessiva, la distruzione dell’habitat o la concorrenza per le risorse trofiche (cibo), può cancellare qualsiasi specie. Va detto anche che le specie che rischiano di più l’estinzione sono quelle più specializzate: per esempio il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) si nutre solo ed esclusivamente di bambù, quindi se il suo habitat fosse distrutto (il rischio che accada è molto elevato) i panda si estinguerebbero perché non avrebbero più nessuna fonte di cibo. Al contrario, specie non specializzate, onnivore e molto adattabili corrono il rischio di estinguersi solo in caso di grandi catastrofi; per esempio le due specie di mammifero che hanno avuto più successo: Homo sapiens e Rattus norvegicus (esatto, i ratti!) contano miliardi di esemplari e solatanto una catastrofe planetaria o una pandemia potrebbero cancellarle.
Non credete che sia così tragico? Allora lasciate che vi faccia qualche esempio.
Raphus cucullatus:
Meglio noto come dodo. Era un uccello culumbiforme (ossia parente dei piccioni) inabile al volo, che nidificava a terra e si nutriva di frutti. Viveva solo e soltanto sull’isola di Mauritius, colonizzata dai portoghesi e dagli olandesi nel XVII secolo. Sfatiamo subito un mito: il dodo non si è estinto per la caccia eccessiva. Sembra infatti che le sue carni fossero assolutamente disgustose. La causa più probabile della sua estinzione è la distruzione dell’habitat da parte dei coloni e l’introduzione di specie predatrici o concorrenti, come i maiali, i cani, i ratti o le scimmie, insieme al consumo delle uova da parte dei coloni o delle già citate specie introdotte: infatti il dodo nidificava a terra per via dell’assenza di predatori sull’isola di Mauritius.
La sua estinzione è avvenuta fra il 1662 e il 1681.
Pinguinus impennis:
Sebbene il suo aspetto e il suo nome di genere facciano pensare il contrario, questo non è un pinguino. Il suo nome comune è Alca Impenne, impropriamente noto anche come “pinguino boreale”, proprio per la sua somiglianza coi noti uccelli nuotatori dell’Antartide. Questo animale è uno straordinario esempio di convergenza evolutiva, cioè: specie che vivono in ambienti simili sono sottoposte a simili pressioni evolutive e tendono ad assomigliarsi. Infatti, la sua somiglianza coi pinguini è evidente non solo nell’aspetto: l’alca era un eccellente nuotatrice, era inabile al volo, si nutriva di pesce e deponeva un solo uovo ogni anno.
Il suo areale comprendeva tutte le coste dell’Atlantico Settentrionale e, durante le ere glaciali, arrivava anche a colonizzare il Mediterraneo. Si dice che la parola “pinguino” derivi da “Pengwyn”, il nome con cui gli irlandesi chiamavano questo uccello. L’Alca si è estinta a causa della caccia eccessiva per scopi alimentari e per il piumaggio. L’ultimo avvistamento di un esemplare in libertà risale al 1852 al largo della Terranova, in Canada.
Thylacinus cynocephalus:
Il tilacino, o “tigre della Tasmania”, era un marsupiale predatore di aspetto simile a quello di un cane ma con un manto simile a quello di una tigre. Nel Pleistocene il suo areale comprendeva l’intera Australia, ma si ridusse alla sola isola di Tasmania quando gli aborigeni introdussero il dingo, ovvero un cane inselvatichito. È probabile che l’ultimo esemplare australiano sia morto circa mille anni fa, mente in Tasmania il tilacino è sopravvissuto fino agli anni ’30 del XX secolo. La sua estinzione fu causata dalla spietata caccia da parte degli allevatori tasmaniani, favorita dal governo locale, e dalla forte richiesta di esemplari degli zoo americani ed europei. L’ultimo esemplare in libertà fu avvistato nel 1932, mentre l’ultimo esemplare noto della specie morì nello zoo di Hobart (Tasmania, Australia) il 6 settembre 1936. Il tilacino è stato dichiarato ufficialmente estinto nel 1986, tuttavia ci sono stati molti presunti avvistamenti di esemplari in libertà in Tasmania, sebbene spesso le testimonianze non siano state ritenute attendibili, sono in corso alcune ricerche per verificare o meno la sua sopravvivenza, purtroppo è molto improbabile che si riescano a trovare dei tilacini ancora vivi.
Tuttavia esiste una speranza: alcuni ricercatori australiani e statunitensi hanno isolato e sequenziato con successo parte del DNA di questa specie, da esemplari impagliati o in formalina. Se fosse possibile sequenziare il completo genoma si potrebbe ricostruire una nuova popolazione di tilacini mediante clonazione. Purtroppo, ci vorranno molti anni per sapere se è davvero possibile o no.
Dusicyon australis:
Questo canide era meglio noto come warrah, lupo antartico o “volpe delle Falkland”. Era endemico delle isole Falkland e fu scoperto nel 1622, ma ricevette l’originale nome tassonomico, Canis anctarticus, da Charles Darwin in persona nel 1833. Il warrah fu descritto come un animale comune e mansueto, che non attaccava e non aveva paura della nostra specie. Questa caratteristica gli è costata molto cara: i coloni delle Falkland lo considerarono una minaccia per le loro greggi e operarono uno sterminio sistematico. In pochi anni, grazie l’assenza di foreste e la docilità di questi canidi (dovuta all’assenza di predatori) la specie fu cancellata. Nel 1868 un lupo antartico fu portato allo zoo di Londra, ma purtroppo sopravvisse solo per pochi anni. La sua estinzione risale più o meno al 1872.
Ectopistes migratorius:
La colomba migratrice viveva negli Stati Uniti centro orientali, sconfinando anche in Canada e Messico. Erano talmente comuni e diffuse da formare stormi di milioni di esemplari, tanto che alcuni documenti redatti dai gesuiti asseriscono che fosse possibile abbattere un centinaio di esemplari con una sola fucilata. Durante le migrazioni, i grandissimi stormi che questa specie metteva insieme potevano oscurare il cielo.
Paradossalmente, fu proprio il loro grande numero a decretarne la fine: già gli stessi indiani d’America li consideravano un fastidio e usavano bruciare le colonie, mentre gli europei scoprirono che le carni della colomba migratrice erano prelibate e operarono una caccia spietata. In più, il disboscamento (e quindi la distruzione dell’habitat) fu determinante per la loro scomparsa. L’ultimo sterminio operato ai danni di questi uccelli avvenne nel 1878 nel Michigan, quando si calcola siano stati uccisi più di un milione di esemplari.
L’ultimo esemplare di Ectopistes migratorius morì nello zoo di Cincinnati il 1 settembre 1914.
Potrei citare centinaia di altri esempi, ma mi limiterò a questi che ho riportato, in quanto sono i più famosi.
Scommetto che ora vi starete chiedendo perché l’estinzione di una specie sia così tragica. Quando una specie si estingue vanno perduti milioni di anni di evoluzione, comportamenti unici, livree spettacolari e tutto ciò che rende unica una specie, ma va perduta anche una cosa molto più importante del solo valore scientifico: il ruolo ecologico. La sparizione di una specie provoca uno squilibrio ambientale che, nei casi più gravi, può portare alla scomparsa di altre specie come in una reazione a catena. Se sparisse un predatore, le prede potrebbero così moltiplicarsi a dismisura ed esaurire le risorse trofiche, autocondannandosi all’estinzione e condannando anche altre specie che dipendevano dalle medesime risorse. Questo naturalmente è solo un esempio molto semplificato: non dimentichiamo che non sono i soli animali ad estinguersi, ma possono sparire anche piante, funghi, protozoi, alghe, ecc. Insomma, ogni specie può potenzialmente andare perduta.
Per aiutare i lettori a capire meglio la portata del fenomeno, aggiungo due interessanti link:
- elenco di mammiferi estinti
- elenco di uccelli estinti
Parliamo di soli uccelli e soli mammiferi, il numero totale di specie estinte in epoca storica è tre cifre, senza considerare quelle scomparse prima che potessero essere classificate, ovvero che sono svanite senza che potessero essere osservate nemmeno una volta.
Spero di essere riuscito a farvi capire la gravità del fenomeno e spero anche che il mio articolo non vi abbia annoiato e vi possa portare a considerare le estinzioni con meno leggerezza, come invece fanno i mass media.
P.S. questo elenco contiene tutti i mammiferi (soltanto mammiferi) che rischiano di essere perduti per sempre.