Carissimo "capo mio" /Ricordo di p. Benedetto Bellesi

Creato il 23 luglio 2013 da Marianna06

Carissimo “capo mio”,

ricordi? Ti ho sempre chiamato così: “capo mio”. E tu mi rispondevi con le stesse parole.

Io ero “capo”, perché direttore di “Missioni Consolata”; però riconoscevo in te una autorevolezza culturale e missionaria indiscutibile. Una autorevolezza anche linguistica, giacché eri laureato in Lettere classiche alla Cattolica di Milano.

Davvero “capo mio”.

Entrasti nella redazione di “Missioni Consolata” nel 1987, dopo che l’anno precedente ci incontrammo in Sudafrica, dove tu operavi e... mi cucinasti persino una gustosa spaghettata ai funghi da te raccolti.

Di tanto in tanto rievocavi le parole che ti dissi alla stazione di Porta Nuova a Torino, quando venni a prelevarti per entrare nella redazione della rivista, e cioè: “Se anche tu te ne andrai dalla redazione, ce ne andremo in due: tu ed io!”. Già, perché, nell’arco di un solo anno, una coppia di redattori piantò in asso la rivista. E, siccome “non c’è due senza tre”, temevo che tu fossi il terzo. Invece lavorammo insieme per 15 anni, senza alcun screzio.

Eppure eravamo molto diversi: tu, roccioso, metodico, anche burbero; io, più morbido, talvolta improvvisatore, poco amante delle regole.

Ci concedevamo delle sane risate: la tua era una lunga e possente cascata di scrosci fragorosi e accattivanti. Ridavamo, soprattutto, di fronte a chi aveva il complesso di “essere scavalcato ed emarginato”. Spesso al mattino, dopo il classico “buon giorno”, ci salutavamo: “Capo mio, oggi ti senti scavalcato ed emarginato?”.

Un altro punto su cui collimavamo al 100 per cento era rappresentato dall’espressione: “Nella vita temi specialmente chi si reputa un genio, mentre è solo un rompiscatole!”.

Capo mio, eri pure tifoso della Juventus, mentre io ero estraneo ad ogni  cultura pallonara. Tuttavia, dopo qualche stagione, mi ritrovai a tifare Juve, solidale e ammagliato dal... capo mio.

Tu, roccioso di carattere, trascorrevi le giornate appoggiandoti continuamente e senza riserve sulla “roccia” della Parola di Vita. Fu una fede che ti accompagnò e sorresse sempre, specialmente giorni oscuri, dolorosi e interminabili del cancro.

La passione per la “Parola” ti spinse a Nazaret, a Gerico, a Gerusalemme e dintorni, dove camminasti come pellegrino per diversi mesi e a più riprese. La Parola ti consentì di dettare delle meditazioni profonde e toccanti.

Come dimenticare, ad esempio, un tuo quaresimale sul Libro di Giona?

Il fascino della Parola di Dio contagiò pure “Missioni Consolata”. Infatti la rubrica biblica mensile della rivista “Così sta scritto, curata da don Paolo Farinella, fu merito tuo.

Fosti redattore e direttore di “Missioni Consolata”, come nessun altro. Alcuni numeri speciali monografici della rivista vennero poi ristampati anche come libri. “Allah akbar”, ad esempio, interamente dedicato all’Islam.

Capo mio, Benedetto! Un capo tosto, convinto e sereno. Sereno come un bambino,

perché “se non diventerai semplice come i bambini, non entrai mai nel regno dei Cieli”.

Ora, mentre passeggi in compagnia di tanti amici attraverso le galassie luminose del Paradiso, facci ancora sentire la tua possente risata. Sarà una garanzia che la nostra povera preghiera è stata accolta dal Padre celeste.

Vero, che continuerai a ridere, capo mio?

p. Francesco Bernardi,

missionario in Tanzania

 

          a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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