Di recente ho fatto un viaggio in Lucania, ho visitato due o tre posti. Come faccio spesso, una volta tornato, mi sono imbarcato in una lettura che avesse qualcosa a che fare con quei posti. La scelta in questo caso è stata facile. Nella mia libreria c’era una vecchia edizione Einaudi di Cristo si è fermato a Eboli. Ricordo di aver letto questo libro già ai tempi delle scuole medie, ma in un’edizione ridotta per studenti. Arrivato a pagina 40 c’è un passaggio in cui Carlo Levi descrive un orinatoio pubblico che si erge nel centro di una piazza di Aliano (che nel libro viene chiamato Gagliano). È un’opera estranea al posto come lo sarebbe un’astronave:
“In mezzo alla piazza si ergeva uno strano monumento, alto quasi quanto le case, e, nell’angustia del luogo, solenne ed enorme. Era un pisciatoio: il più moderno, sontuoso, monumentale pisciatoio che si potesse immaginare”.
Il pisciatoio – continua Levi – è il rifugio di maiali, cani, galline e ragazzini che giocano con barche di carta. Un’opera del regime fascista che “doveva essere costata le entrate di parecchi anni del comune di Gagliano” ma che veniva usata per ogni scopo fuorché quello per cui era stata concepita.
“[…] quale fata poteva aver portato per l’aria, dai lontani paesi del nord, quel meraviglioso oggetto, e averlo lasciato cadere […] in una terra dove non c’è acqua né impianti igienici di nessuna specie, per centinaia di chilometri tutto attorno?”
Un monumento allo spreco, lo si definirebbe oggi. Se non fosse per un’unica persona capace di apprezzarlo facendone l’uso per cui era stato in effetti costruito:
“[…] quella persona ero io: e non l’usavo, debbo confessarlo, spinto dal bisogno, ma mosso dalla nostalgia”.
Le libere associazioni di idee sono quanto di più opinabile esista in natura. La rilettura di un testo in chiave di metafora poi, a volte, è un gioco stucchevole e inutile, come lo è indovinare la forma delle nuvole. Però, leggendo questo passaggio dell’opera più famosa di Carlo Levi, ho avuto l’impressione di vederci qualcosa di familiare. In altre parole ho pensato che una buona parte della cultura che si produce e si vende oggi (ma la metafora si adatterebbe altrettanto bene alla politica) assomigli proprio a questo: a uno splendido pisciatoio che si innalza tra le rovine di un paese disperato e poverissimo, occupato da maiali e altre maleodoranti bestie lasciate libere a pascolare, e che solo qualche inguaribile nostalgico si ostina a usare – e non per effettivo bisogno ma per malinconia e riguardo dei tempi che furono – nel modo giusto.