- (1966)
Carlo Levi
Mario Farinella è tornato, ancora una volta, nella profonda Sicilia interna, nelle colline del feudo, nelle città e nei borghi della miseria, nell’oscuro paese dei contadini, nel cuore antico dove la storia dei secoli è un groppo, un complesso, una condizione ineffabile di dolore. E noi ci torniamo con lui, in queste sue pagine.
Con lui, fisicamente, c’ero stato molti anni fa, nel periodo delle lotte per la terra e per la libertà, che erano il grande salto storico che faceva rovesciare come un guanto il tempo fermo, e farne apparire al sole l’interno nascosto, la vita celata, l’implicito valore di mutamento. Mario Farinella mi aveva accompagnato in qualcuno di quei miei viaggi, che non erano soltanto, per me, la scoperta di una Sicilia vera, degli uomini nuovi che andavano creando un mondo nuovo, ma la scoperta di una parte di me, la più autentica e legittima, che in quegli uomini, in quelle terre, si ritrovava. E io sono grato al mio compagno d’allora, che, per essere uno dei migliori testimoni e partecipe, era ottima guida in quel tempo drammatico e felice di trasformazioni. Egli ci aveva dato allora, con i suoi articoli, e anche con le sue poesie, dei documenti preziosi: e oggi torna, dopo tanti anni, ripercorrendo (come avviene ai poeti) le proprie strade, di fronte a una realtà fatta diversa, nella quale pare che si parta dal niente per riprendere un filo interrotto, a darci un altro, altrettanto efficace, semplice e sincero racconto dello stato del feudo, che è insieme descrizione di una condizione politica e sociale valida per l’azione materiata di realtà, contenuto poetico per la fantasia e per la storia.
Siamo passati in questi anni attraverso una sconfitta, una delle tante sconfitte storiche, non mai totali, non mai definitive, non mai prive di un profondo, celato elemento di vittoria, del mondo contadino. Gli articoli di Farinella (pubblicati su L’ORA e qui raccolti in volume) fanno parte dei documenti di questa sconfitta, e insieme di quel tanto di positivo, di, malgrado tutto, vittorioso e creativo che vi è implicito e che oggi si manifesta. Gli anni dei primi viaggi di Mario Farinella erano anni eroici e creativi: il sorgere di una coscienza del presente, di una forza attuale, dal mondo potenziale contadino. Il costo ne era dolore e morte (e Farinella conosce gli assassinati sulle trazzere e nelle piazze, le lacrime di una guerra contadina): ma il senso era felicità e nascita, senso dell’esistenza, conquista della libertà. Questo senso, una volta acquistato, permane per sempre, anche quando la realtà pare rinnegarlo, sminuirlo e nasconderlo, nei cuori celati e negli atti. E non furono le uccisioni, nè le persecuzioni, né le delusioni, né le attese, né il pianto, a interrompere quel movimento, che anzi esse ne erano parte necessaria, dolente e coraggiosa spinta. Ma la storia andava apparentemente su altre strade (proprio ora che, per la prima volta, il movimento contadino aveva saputo essere originale, non strumento inconsapevole di restaurazione, ma protagonista); e la riforma agraria interveniva come un’arma per interrompere o deviare la vitalità, nel binario morto della microscopica proprietà contadina, antieconomica e insostenibile; fino all’abbandono di una terra inutile, alla fuga necessaria lontano dalla patria e dalla terra, fatta sterile e nemica. I problemi della rinascita contadina parvero a molti del tutto risolti: il risolvere crocianamente un falso problema è dimostrarne l’inesistenza. Dove è il mondo contadino? Nelle fabbriche e nelle miniere di Milano e Torino, della Germania, della Svizzera, del Belgio, senza terra o sottoterra, negli astratti purgatori dove anche la lingua è altra.
Si disse dunque che il problema contadino, il problema della terra, non esisteva più: una certa politica, un certo sviluppo storico li aveva eliminati. I «poli di sviluppo», la riforma, la nuova fase dell’economia europea, li aveva respinti nella secolare inesistenza: essi ora non servivano più, erano tornati nell’ombra.
Ma, come al primo sole che anticipa la primavera ricompaiono le farfalle e le lucertole e le api, è bastato che l’Assemblea siciliana approvasse una legge istitutiva dell’Ente di sviluppo agricolo, che dappertutto apparissero le antiche bandiere; e le occupazioni e le speranze. Che cosa sta avvenendo, e che cosa si prepara? Mario Farinella si mette in strada, e torna con molte risposte: non quelle dei politici e dei teorici, ma quelle dirette e vissute degli uomini e delle donne incontrati per via. Nel viaggio si incontrano anche i ricordi, e i giusti dimenticati riappaiono, come ombre e come testimoni. Esce vivo dal tessuto della memoria, il giusto di Riesi, Filippo Dibilio, che ha ragione, anche se la storia gli dà torto, contro il «partito baronale». E riappare, perché esiste ed è vivo, come un eroe nascosto e profanato, Alleo dí Aragona, avvolto di affetto.
O Aragona! Quando io ci fui, e ne scrissi, dei 1500 minatori moderni, protagonisti della nuova cultura, ne erano rimasti solo 400; e ora che Farinella c’è tornato, fra le miniere chiuse e i palazzi cadenti, nella fortezza della Lega, ne ha trovato solo 150, e i vecchi paladini solitari. E nei paesi contadini desolati arrivano le lettere dall’esilio, e nelle terre tornate incolte, il solo lavoro è la rimessa degli emigrati.