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CARMEN e JACINTO Non molto distante dal bar che gestisco, hanno allestito, fra le critiche degli abitanti, un campo nomadi. Fra i variopinti personaggi sopraggiunti vi era anche Carmen, una zingara sedicenne, dire bellissima è dire poco, già sposata con un coetaneo e madre di un bimbo. In pochi anni Carmen, sfornando figli come conigli, ha perso molto della sua bellezza, ma non il carattere indomito.
Quando è nata l’ amicizia tra noi, non saprei dirlo, era sommessa, ma fluida come un fiume.
Quando gli zingari entravano nel bar, era caos, era difficile rimanere impassibili, vedere i bimbi sporchi e mezzi nudi, sgranocchiare cioccolato e patatine e bere coca cola, mentre i genitori andavano a cognac e vino. Occorreva tenerli d’ occhio, perché normale ed istintivo era per loro infilarsi ogni genere di merci sotto i lunghi sottanoni colorati. Di solito sono le donne che rubano, gli uomini osservano ed agevolano la fuga.
Un giorno il marito di Carmen alzò le mani su di lei, io a volte non riesco a rimanere impassibile, mi frapposi fra lei e il marito, viso a viso, occhi negli occhi, intimai all’ uomo: “Se alzi ancora le mani su di lei, telefono ai carabinieri e ti denuncio”.
Lo zingaro rispose:- E’ mia moglie, faccio quello che voglio – poi scoppiò a ridere e tutto finì lì.
Da allora qualcosa cambiò, Carmen iniziò a raccontarmi qualcosa di lei e del suo modo di vivere, io non ero più una “gaggia”( cioè una paurosa, una non degna), mi fece vedere pomposamente che sapeva leggere ( in realtà sillabava).
Iniziai a sgridarla per come teneva i figli.
Un giorno, era il 13 dicembre, nevicava, era freddissimo. Carmen entrò nel bar coi figli ed il marito. I bimbi erano completamente nudi e scalzi. Mi arrabbiai talmente tanto, furente alle scuse di Carmen che cercava di spiegarmi che era per ” temprarli”.
Pochi giorni dopo si venne a sapere che al campo nomadi era morto un bambino di 15 mesi per stenti e sevizie, fra le quali anche bruciature di sigaretta.
Sconvolta iniziai a bombardare di telefonate e fax la Circoscrizione perché facesse qualcosa.
Contattai Carmen, era allarmata perché aveva paura che le istituzioni togliessero i bambini anche a lei, cercò di spiegarmi che la morte del piccolo era dovuta ai bimbi più grandicelli, una specie di circolo vizioso, in cui il grande rifaceva quello che aveva subito da piccolo. Carmen giurava e spergiurava che ai suoi bimbi stava attenta.
Qualche mese dopo, Carmen tornò a trovarmi, era col marito, le avevano portato via i figli, erano in un istituto, stava andando a trovarli.
Le dissi: “ Capisci che è per il loro bene, basta con questa vita di stenti, non è più tempo, ti devi adeguare, tuo marito può lavorare, puoi lavorare anche tu, dimostrate che potete cambiare, vi ridaranno i figli, le istituzioni vi aiuteranno “.
Era addolorata, il marito cercava di scherzare, ma Carmen era triste, triste.
Dopo sparatorie, corse folli in auto, incendi e la morte del piccolo, il campo nomadi è stato chiuso. Gli zingari non erano riusciti ad integrarsi, il loro più grande handicap non è neanche perché vivacchiano rubacchiando, ma l’alcol. Quando sono in preda all’alcol non sono più gestibili, pagano il loro non adeguarsi con un’ inquietudine latente che li porta a sbronzarsi. Chi di loro tenta di affrancarsi è dagli altri del gruppo considerato un traditore e perciò per loro, disintossicarsi è ancora più difficile.
Pochi giorni fa è entrato nel bar il marito di Carmen , con fare strafottente si è rivolto a me: “Carmen è una scema, si è fatta mettere la catena come un”gaggio”, vive in un appartamento, lavora e sta coi figli, schiava dell’ assistente sociale, puah, figli ne poteva avere quanti ne voleva e prima o poi sarebbero tornati anche gli altri, puah , e intanto buttava giù whisky con occhi dolenti.
Perché tu non ce l’ hai fatta Jacinto? Perché tu non ce l’ hai fatta Jacinto?
Perché hai sentito il bisogno di dirmi che Carmen si è adeguata?
Mi credi che la gioia che ho provato per Carmen è stata offuscata dal dolore che sento serpeggiare in te?
Quando siamo diventati amici Jacinto?
Dopo lo scontro che abbiamo avuto perché tu eri manesco con Carmen, ne abbiamo avuto un altro.
Eri entrato al bar, in gruppo con gli altri come te, mi avevi sottratto sotto gli occhi due bottiglie di cognac, senza che io me ne accorgessi; mia madre, controllava ogni cosa, quando voi uscivate, se ne accorse subito di ciò che mancava ed iniziò la solita litania sulla mia “svagatezza”. Esasperata dai suoi rimbrotti, vi ho rincorso, in bicicletta, vi ho raggiunto intimandoti di ridarmi le bottiglie, altrimenti avrei sporto denuncia.
Tu Jacinto me le hai riportate, furioso mi hai detto che se ti avessi denunciato, avresti dato fuoco al bar e poi saresti scomparso, tu sapevi come fare. Io ti ho risposto così:
- Ma bene, così non solo furto, ma anche ricatto, e pensare che quando hai bisogno che ti legga ciò che è scritto sul “foglio di via” o parlare al telefono col tuo avvocato per spiegare cosa combini, vieni da me, mi hai detto che ti fidi di me, non si fa così, non si ruba agli amici, anche gli zingari hanno un codice d’ onore . Se vuoi guerra, sia, ti denuncio anche per ricatto-.
Tu Jacinto sei scoppiato a ridere.
Il giorno dopo sei venuto con il capo degli zingari, tuo fratello, perché siete figli di una regina, non so di quale etnia perché io certe cose non le ricordo. Hai raccontato il fatto, ed il capo ha dato la ragione a me, non si ruba a chi ha dimostrato amicizia e coraggio, non si fa questo fra gli zingari. Da allora non hai portato più via niente, non solo tu ma anche gli altri.
Io Jacinto sono un’ inguaribile ottimista quindi aspetto, un mese, un anno, aspetto che tu passi a trovarmi con la tua famiglia, perché è quella la strada giusta Jacinto.
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