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Carnage: Anatomia di uno Scontro

Creato il 27 settembre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Carnage: Anatomia di uno Scontro79 minuti. Solo 79 indiavolati e “parlatissimi” minuti bastano a Roman Polanski per imbastire la sua carneficina ambientata nell’upper class newyorkese e per dimostrare ancora una volta al mondo intero il grande cineasta che è (sempre stato). Solo 79 minuti, una manciata in meno di quei 94 che segnarono il film del suo esordio nel ‘62, quel “Il coltello nell’acqua” in cui due uomini e una donna si scannavano psicologicamente oltre che fisicamente, non solo per l’affermazione di se stessi ma anche di un modello sociale e sessuale, in uno spazio angusto (la barca) e nell’arco di 24 ore. A quasi cinquant’anni di distanza da quel folgorante esordio, dopo aver scritto alcune pagine di cinema fondamentali e mentre ancora sconta la sua condizione di esule cinematografico (fra verità di cronaca e ipocrisia tutta americana), il regista polacco, quasi in contro-risposta alla battaglia legale ancora in corso, ritorna alle origini del suo cinema dando corpo ad una storia che ha le fattezze del cinema da camera ma assume i toni di un atto d’accusa. Con “Carnage” (tratto dalla pièce Il Dio del massacro di Yasmina Reza) la storia si ripete ma ovviamente con modalità diverse. Niente barche come allora a delimitare i confini di una lotta istintuale in cui la natura fungeva da amplificatore delle pulsioni ma un rassicurante appartamentino newyorkese (in realtà siamo a Parigi) come calderone di nevrosi e luogo d’azione quasi hitchcockiano.

Carnage: Anatomia di uno Scontro

Qui una coppia alto-borghese (pacioso lui, illuminata da lampi di follia lei) si incontra con un’altra coppia alto-borghese (pacata lei, boriosamente distante lui) per siglare cordialmente e per iscritto una conciliazione dopo la zuffa che ha visto protagonisti i loro figli e nella quale uno dei due ragazzini coinvolti ha fatto saltare due denti all’altro. Sembra tutto tranquillo almeno fino a quando non ci si imbatte in una questione di mero puntiglio verbale: è meglio ricorrere o no al verbo “brandire” per indicare il modo in cui l’aggressore deteneva il bastone con cui ha ferito? La miccia è ormai accesa. Segue lo scontro. Che però non parte da subito ma, con un’avanzare spiraliforme degno del miglior Polanski (quello horror), progredisce da un pizzicare fastidioso fino ad assordante cacofonia di offese tutte servite al meglio fra una torta di pere-mele, scotch ben invecchiato e un secchio per il vomito mentre qualsiasi frase, azione e perfino un ridicolo nomignolo diventano pretesti buoni per assestare nuovi colpi e perpetuare la carneficina. Risucchiata dentro lo stesso appartamento de “L’inquilino del terzo piano” (e infatti ad aprire la porta richiamato dalle voci c’è proprio Roman Polanski, indimenticato Trelkovsky del film del ’76), la doppia coppia si vomita (letteralmente) addosso tutte le rispettive ipocrisie, siano esse il finto modello John Wayne di un fobico dei ratti o il disinvolto cinismo di un dirigente farmaceutico, dando libero sfogo a dinamiche comportamentali tipiche dei dodicenni.

Carnage: Anatomia di uno Scontro

Ma se cinquant’anni fa si lottava dentro una barca essenzialmente per imporre se stessi di fronte ad una donna, in “Carnage” ci si accapiglia solo apparentemente per i differenti ideali borghesi. Per intenderci non sono in lotta il filantropico senso di colpa di Jodie Foster per i neri del Darfur con l’impassibile mancanza di scrupoli dell’avvocato Christopher Waltz, né tantomeno il buonismo animalista di Kate Winslet con l’etica reazionaria del venditore di cessi John C. Reilly. A sfidarsi in questa arena imbastita come un tipico Kammerspiel c’è un solo animale sociale, l’uomo, incapace di vincere la sfida con il peggior nemico possibile, se stesso, ed altrettanto incapace di venire a patti con il proprio, insopprimibile bisogno di trovarsi un rivale. Individuare una nemesi solo per dichiarare di esistere, praticamente il criterio comportamentale adottato da tutti i sistemi politici occidentali (e globali); forse “Carnage” vuole essere una metafora politica e non semplicemente sociale. Tuttavia, anche senza osare letture più audaci (il film è così denso da prestarsi a molteplici letture), l’ultima opera di Polanski (abilissimo nel dirigere un quartetto d’attori meraviglioso) resta una gustosissima scaramuccia al vetriolo che, a dispetto del titolo, non degenera in tragedia ma piuttosto vuol analizzare la chimica che regola la genesi di uno scontro.

Carnage: Anatomia di uno Scontro

Che però utilizza quale cassa di risonanza non tanto la natura (come accadeva per l’appunto ne “Il coltello nell’acqua”) quanto piuttosto gli oggetti dentro cui sono (siamo) imprigionati tutti. Cataloghi d’arte che meritano la stessa attenzione di un bambino, sigari, scotch e tulipani importati oltre, naturalmente all’onnipresente, intollerabile cellulare che scandisce l’incedere di questa inesorabile discesa agli inferi esasperando tutti, vittime, carnefici e (genialmente) spettatori. Non è un caso che l’ultima battuta poco prima dei titoli di coda tocchi proprio a lui…


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