Magazine Lavoro

Caro Nichi, le racconto una storia tutta italiana

Da Cultura Salentina

Caro Nichi, le racconto una storia tutta italianaCaro Nichi,

in questi tempi di federalismo, che fa rima con separatismo, l’appartenenza a un gruppo può essere un modo per riappropriarsi di un’identità. Purtroppo, alcune categorie non fanno né onore né unità: penso ai precari, alcuni anche anomali, giacché non esistono per lo Stato neanche in questa veste, pur pagando regolarmente le tasse.

Mi sembra che Lei sia consapevole dell’importanza di riscoprirsi parte di un movimento, di un’ideologia del cambiamento; e poiché la sua dialettica e la sua capacità di restare impassibile di fronte al vecchiume politico che La circonda Le fa onore e fa ben sperare, indirizzo proprio a Lei questa lettera, sperando che aggiunga un ulteriore tassello di consapevolezza alla sua base di partenza per creare un’alternativa.

Le racconterò la storia di un precario, Mattia  — come il fu Pascal di Pirandello, inesistente per l’anagrafe come per la società — che spero Lei vorrà inquadrare in un’ottica più ampia: in quell’assenza di cultura della classe dirigente nazionale, dalla quale mi è sembrato Lei abbia preso, per fortuna, le distanze. In qualità di uomo colto, sono convinta Lei sappia quanto costa questa materia immateriale che è la cultura, questo scudo che può conservare gli uomini integri dagli infiniti compromessi cui sono destinati a confrontarsi ogni giorno. Se insieme alla cultura avrà anche la pazienza di leggermi fino in fondo, capirà ancor meglio perché questo Paese, e purtroppo anche la Puglia, non è un “paese per giovani”.

Come tutte le storie, anche questa inizia con “C’era una volta…”

C’era una volta Mattia, un laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti: nulla di speciale, quindi, fa soltanto parte di quel vasto gruppo di persone sulle quali le relative famiglie hanno investito soldi e aspettative; ha alle spalle due anni di tirocinio e questo lo aggrega nuovamente a un gruppo di giovani che dopo l’Università è costretto a fare una scelta di lavoro gratis e sfruttato perché così vuole il mercato dell’istruzione.

Il nostro Mattia è iscritto all’ufficio di collocamento, aderendo in questo modo a un altro cospicuo gruppo: quello dei disoccupati, una sorta di melagrana in cui i chicchi sono tanti e tutti uguali, senza possibilità di essere discriminati (leggasi scelti), ma facilmente spremibili.

Poi Mattia è diventato un collaboratore coordinato e continuativo e per due anni ha regalato giornate e pazienza alla parte privata della sanità, quella che non conosce regole, non dà valore alla cultura perché l’unico obiettivo è vendere: tutti i versamenti lasciati in busta paga da Mattia probabilmente non esistono più, giacché è noto che il CO.CO.CO è stato un escamotage per le aziende e non un ausilio per il lavoratore. A questo bisogna aggiungere la frustrazione per la mancanza di considerazione della sua laurea — Giurisprudenza — che il suo datore di lavoro annoverava fra quelle “deboli” e quindi da “riconvertire”, perché il mercato ha bisogno di scienziati e non di umanisti. Come se una laurea scientifica presa con le raccomandazioni fosse poi davvero forte…

Allo scadere del contratto biennale, Mattia diventa un impiegato a termine, di quelli con la spada di Damocle sulla testa: si fanno gli straordinari senza dire nulla e senza ricevere ricompense, perché si rischia di rimanere senza lavoro alla scadenza del contratto; Mattia ha conosciuto il mobbing e l’inutilità della pergamena universitaria, giacché l’unica cosa che ti distingue dagli altri è la cultura e non l’istruzione, ma devi essere circondato da persone intelligenti e non da mediocri, altrimenti il tuo valore non emerge. A. Solzenitsyn ha detto: “Il lavoro è come un palo: ha due capi. Se lavori per uno che se ne intende gli dai qualità, ma se lo fai per uno stupido, basta contentare l’occhio.”

Un detto dice: chi lavora caccia i cattivi pensieri. Così Mattia tenta di dare una svolta alla sua vita e prova a fare impresa: una s.r.l. nel settore dei Beni Culturali e del turismo; da povero sprovveduto, con tante idee e senza agganci politici, quell’esperienza naufraga miseramente di fronte ad appalti pubblici confezionati per multinazionali e ditte compiacenti, e alle tasse che vanno pagate anche senza utili d’impresa.

Dopo queste scottature, Mattia giunge finalmente nel girone dei fantasmi che pagano il 20%+24% di tasse su uno stipendio che non raggiunge i 10.000 euro l’anno, e adesso viene la parte comica della questione: Lei si chiederà come è possibile che una persona di cui lo Stato non si cura possa pagare tante tasse; ebbene questa è un’opera d’arte, un colpo geniale della normativa italiana che cancella in un attimo anni e anni di studi, giurisprudenza e soprattutto… logica.

Tutto è iniziato quando Mattia ha risposto a un annuncio di lavoro via Internet: ha fatto dei test, ha sostenuto un colloquio, ha fortunatamente ottenuto il lavoro; le condizioni sono state tutte verbali e si sa, verba volant. Così da un periodo di prova di tre mesi con promessa di successivo contratto, Mattia ha lavorato per tre anni come collaboratore occasionale, pur prestando la sua opera ogni giorno e sempre per lo stesso datore di lavoro. E giacché la legge dice che il lavoro occasionale non può superare i 6.000 euro lordi l’anno con lo stesso datore di lavoro, ecco il colpo di scena: per poco più di 1000 euro sopra soglia, Mattia è costretto ad aprire una Partita IVA per la felicità delle casse dello Stato e di Tremonti, che può vantarsi di aver dato slancio a nuove attività economiche nel paese.

Ora Mattia lavora per 5 euro lorde ad articolo, a cui deve togliere il 20% di ritenuta d’acconto e il 24% di quota INPS, con pagamento da 10 a 80 giorni data fattura, calcolando che forse fra 20 anni riuscirà a comunicare ai suoi genitori che ha ammortizzato le spese dell’università!

Pertanto, Mattia appartiene ora a un altro gruppo: quello dei professionisti — tutt’altro che liberi perché al soldo di più padroni — raggirati dal mercato del lavoro e dalla legge italiana, senza permessi né malattie, invisibili per lo Stato perché non ci sono sconti o riduzioni fiscali (il regime dei minimi si riferisce ai guadagni e non alle tasse da pagare); non parliamo di bamboccioni perché nonostante tutto Mattia non vive più con i genitori, ma di delusi: persone che hanno riposto speranze in un titolo di studio e si sono ritrovati a rimpinguare le casse dello Stato pur non arrivando a fine mese.

In questa continua muta di lavori e di specializzazioni, ormai Mattia è fuori dall’unica categoria a cui tutti vorremmo appartenere per sempre: quella dei giovani. E invece gli anni passano, le istituzioni italiane invecchiano e non si adeguano ai cambiamenti, mentre l’unità di questa nazione, costata tanto cara ai nostri nonni, finisce frantumata dal riordino dei conti pubblici.

Si chiederà Lei cosa c’entra in tutto questo, che è il prodotto di decenni di politica truffaldina: ebbene, Lei può approfittare del federalismo per rendere la Puglia un luogo in cui i suoi cittadini non sono invisibili almeno per la Regione; può fare in modo che l’essere meridionali non sia una malattia da curare, ma una caratteristica da rivalutare, perché noi non abbiamo le industrie floride del Nord Italia, ma abbiamo cervelli e anche il coraggio di parlare in perfetto italiano, senza slang, insulti e frasi sgrammaticate.

In Puglia abbiamo la terra, quella che sporca le mani di tanti contadini, ma che dà da mangiare, anche al Nord; abbiamo l’energia, quella eolica e solare, che basta e avanza senza dover ricorrere al nucleare; abbiamo il mare e la cultura dell’accoglienza che ci viene da anni di contatti con le popolazioni mediterranee; e soprattutto non abbiamo pregiudizi né bisogno di distinguere Nord-Sud, perché per noi la Puglia è una parte dell’Italia, come la Lombardia o il Veneto.

Non so se nelle fabbriche di Nichi c’è posto per i fantasmi come Mattia, che non parlano in TV, non partecipano al Grande Fratello della politica, e la cui unica arma è la penna, la cui sola voce è un blog personale, un po’ giornale e un po’ diario; mi auguro però che nei suoi programmi ci sia consapevolezza di tutti questi guai, di questa zavorra che si chiama ignoranza delle peculiarità territoriali e che ci vuole servi dell’assistenzialismo e della carenza atavica di lavoro.

Thomas Carlyle ha detto: “Ogni lavoro, anche filare il cotone, è nobile; il lavoro è l’unica cosa nobile”… soprattutto rende liberi.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :