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Caro papà

Creato il 25 agosto 2011 da Dragor

   Avevamo fatto tutto. Aperitivo al Méridien, pranzo al Burundi Palace, visita a Ngagara dove la famiglia di mia moglie abitava quando era rifugiata, pellegrinaggio al cinema Caméo , escursione al mercato, visita all’Ecole Française, visita all’ospedale Prince Ragwasore dove ho rischiato di morire, visita al Centre Culturel Français, un salto alla Biblioteca Americana, pomeriggio al Cercle Nautique per mangiare i s’angala, gli squisiti pesciolini fritti del lago Tanganyka, e guardare gli ippopotami che approdano con moglie e figli per passare la notte a pascolare nella brousse. Tutto, proprio tutto. Ma restava una cosa.

  “Vuoi che ti accompagni?”, chiede mia moglie. “No, vado da solo.”  Penso di prendere un taxi, poi cambio idea e vado a piedi.  Ormai è quasi buio, sono un po’ teso perché Bujumbura non offre la sicurezza di Kigali. Ma conosco bene la strada. Su per la route de Rumonge fino al quartiere Kabondo, poi girare a destra quando si arriva alla scuola belga. E durante il cammino, penso a quello che vorrei dirgli.

   “Caro papà, quando sono partito non c’era il cellulare. Non c’era Internet anche se in Francia avevamo il suo antenato, il Minitel. In Burundi si prendeva soltanto la TV locale e pochissimi possedevano un televisore. Se andavi in certi quartieri con la macchina, i bambini accorrevano a guardarti come se fossi un UFO. Non c’erano giornali a parte il Rénouveau, 4 pagine stampate male e scritte peggio. La migliore fonte d’informazioni era il boy che tornava dal mercato.  Non c’era la guerra in Afghanistan, non c’era la guerra in Irak, le Torri Gemelle erano ancora in piedi. Il Rwanda  aveva un milione di Tutsi in piu’, gli arabi non si erano ancora ribellati, l’America aveva un presidente bianco. Non trovi che fosse un altro mondo? Sono passati poco più di vent’anni, ma sembra preistoria.

    Sai, papà, per anni ti ho odiato per come hai trattato mia madre. Per avere distrutto la nostra famiglia, per avere messo al suo posto una serie donne una peggiore dell’altra fino all’ultima che è la peggiore di tutte. Ti ho odiato, ma adesso ho scoperto di non odiarti più. Perché  sento di avere un debito con te. Forse dipende dal fatto che adesso sono padre anch’io. Nel mio comportamento con mia figlia, ho riconosciuto una parte del tuo comportamento con me. Quando ero bambino, mi hai portato in giro per tutta Europa, mi hai fatto visitare i musei, i centri storici, le cattedrali. Non scorderò mai quei viaggi e le nostre conversazioni in macchina, mentre ai nostri lati sfilavano paesaggi nuovi e meravigliosi. Non lo facevi per me, lo facevi per egoismo perché ti piaceva viaggiare e parlare, ma il risultato non cambia: l’intelligenza migliora le persone che ci stanno vicino, così come la stupidità le peggiora. Mi hai insegnato ad amare il jazz. Non scorderò mai il nostro viaggio di notte per Parigi per sentire Lionel Hampton, non scorderò mai le descrizioni dei tuoi incontri con John Coltrane, Billie Holiday, Louis Armstrong, Ella Fitgerald. Mi hai insegnato ad amare l’architettura. Non eravamo d’accordo perché non potevo soffrire la Bauhaus e Le Corbusier, ma l’ho amata lo stesso. Mi ha insegnato ad amare l’arte. Se oggi so riconoscere un comune denominatore dalla grotta di Lascaux a Picasso, lo devo a te.”

   Arrivo alla casa. E’ buio pesto, non hanno ancora messo i lampioni. Busso al cancello e il boy mi apre. Quando gli dico chi sono, mi fa entrare e mi accompagna nel soggiorno. Un momento dopo lui arriva. E’ un po’ invecchiato, ma nemmeno tanto.  “Ah, eccoti. Si può sapere dove ti eri cacciato?” “A Nizza, papà.” “Sei partito senza pagare l’elettricità.” “Hai una nipote, papà.” “Mi devi 211.000 FB.” “Si chiama Minou…”

   Tutto come al solito.

   Dragor


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