(by Marco Pontremolesi)
Oggi potrei parlare di mille cose. Della netta vittoria della Lazio sul Chievo per 3-0, di un derby che per noi laziali ormai non rappresenta più nulla dopo il 26 Maggio, di una contestazione vibrante nei confronti di Lotito che nonostante la vittoria della Coppa Italia continua ad essere presente. No, oggi voglio fermare il tempo; non voglio alimentare né polemiche, né fare la nuda cronaca calcistica della Lazio attuale. Voglio chiudere gli occhi e pensare a Lunedì scorso alla Chiesa del Cristo Re, situata nel quartiere Prati, a Roma. Qui, una marea di gente commossa è andata a salutare il nostro “condottiero”, la nostra bandiera, il nostro essere laziali personificato in un’unica immensa figura la quale ha oscurato tutto il resto, e che tutt’oggi incarna e personifica la lazialità, nel suo orgoglio, nella sua unicità e nei drammi che come un filo rosso e parallelo hanno unito le sorti della sua figura a quelle della Lazio : GIORGIO CHINAGLIA.
Finalmente il nostro eroe è tornato e come sempre l’ha fatto in pompa magna. Perché Long John o il “Gobbo”, anche da morto, continua a essere ingombrante per la città di Roma, ma soprattutto continua a far tremare i polsi ai suoi rivali di sempre : i tifosi romanisti. E così, quando la sua salma è atterrata a Fiumicino insieme alla sua prima moglie, Connie, e ai suoi figli la terra ha quasi tremato e il cielo si è oscurato. Perché dietro la sua bara Chinaglia porta dentro di sé tutta la rabbia, la grinta, l’orgoglio, la spocchia genuina di spaccare quella porta, ma soprattutto di far male, calcisticamente parlando, ai tifosi della Roma.
Descrivere dunque Giorgio in una sola parola è dunque praticamente impossibile. Egli è stato per la gente laziale tutto, ma proprio tutto nel bene e nel male : attaccante, bomber, eroe, anti-romanista per eccellenza, ribelle anti-conformista, presidente ma anche fuggiasco, latitante, traditore in alcuni momenti della storia laziale. Con lui c’è stato sempre un rapporto di amore-odio, un’altalena di sentimenti pazzeschi che solo la nostra incredibile storia ci può dare, fuori da qualsiasi logica e normalità. Però, aldilà dei suoi errori che ha pagato duramente, Chinaglia ha rappresentato per noi il “guerriero” che ha cambiato per sempre la storia calcistica di Roma e ci ha resi orgogliosi, a petto di in fuori, di essere TIFOSI DELLA LAZIO! Infatti, fino alla fine degli anni 60 il laziale era un sostenitore molto “timido”, che stentava a professare apertamente la sua fede per due motivi : primo, la minoranza numerica cittadina e secondo l’ “impostazione socio-culturale”, che portava il laziale a nascere nelle zone “nobili” della capitale e quindi ad avere un atteggiamento più “signorile”, rispetto all’ arroganza e alla spocchia del tifoso giallorosso che era più di matrice popolare.
Poi, venne come un tuono che romba nella tempesta la Lazio del 74 : e gli equilibri si sono improvvisamente spaccati. Come un terremoto che rade al suolo tutto, da allora nulla sarà più come prima e tutto verrà totalmente stravolto. Perché quella “squadra” è e rimarrà per sempre irripetibile; infatti reputare “gli eroi del 74” dei semplici giocatori di calcio mi sembra quasi offensivo. Questi più che una squadra sembravano una ciurma piratesca uscita da un romanzo di Salgari : capelli e basette lunghe, ribelli, rissosi, sfrontati, spacconi, possessori di armi da fuoco, fascisti dichiarati. Un manipolo di “bastardi” pronti a non avere paura di niente e di nessuno, neanche della morte, e divisi in due fazioni : “I Chinagliani” e “i Re Cecconiani”. Durante la settimana i due schieramenti se ne davano di santa ragione e ne facevano di tutti i colori per prevalere sulla fazione opposta. Culmine di tutto questo era la partitella del giovedì al Tor di Quinto, campo di allenamento della Lazio, dove si consumava una vera e propria battaglia pur di vincere. Insomma, questa era tutto tranne che un’amichevole : un vero spettacolo per chi aveva la fortuna di accorrere al campo e guardarla. Dunque, la Lazio del 74 era tutt’altro che unita; ma la domenica le cose cambiavano radicalmente. La banda di pirati metteva da parte tutti i dissapori personali che ognuno aveva con gli altri, e quando vedeva il nemico aveva come unico obiettivo : quello di abbatterlo. Soprattutto quando di fronte si aveva la Roma. E fu qui, che il nostro pirata Long John fu l’artefice della vittoria e della riscossa di un popolo che fino ad allora era troppo silente, timido e impacciato. Il simbolo di tutto questo fu la corsa sotto la Sud e quel dito alzato, che a distanza di quarant’anni anni rimane immortalato nella leggenda e nella storia del Derby. Quel gesto, così minaccioso e istintivo, ribadiva il concetto : “QUI COMANDO IO, ANZI QUI COMANDANO I LAZIALI!!”. Da allora nascerà la leggenda di Long John, ma anche la caccia al “Gobbo”, come lo chiamavano in maniera dispregiativa i romanisti. Ogni giorno scazzottate, litigate, minacce erano parte integrante della vita di Chinaglia che rispondeva di conseguenza, senza pensarci su due volte, con il suo modo fare istintivo e ribelle.
A placare la goffa irruenza di Long John e a difenderlo sotto la sua ala protettiva c’era un piccolo grande uomo venuto, e forse mandato dalla provvidenza per unire e sfruttare al meglio le capacità di questa straordinaria e romantica “banda di matti” : TOMMASO MAESTRELLI. Il “Maestro” sembrava quasi una presenza “trascendentale” in quella Lazio e in quei pomeriggi di fuoco passati al campo di Tor Quinto. Un uomo mite, buono, un padre affettuoso e premuroso con tutti i giocatori; una persona talmente gentile che anche i teppisti, la marmaglia, la banda di pirati che non aveva paura di nessuno si scioglieva come neve al sole. Un uomo talmente saggio e intelligente che riuscì ad unire quell’ “armata brancaleone “ così incazzosa, isterica ed istintiva in un unico grande corpo, in un unico gruppo che la Domenica agiva all’unisono. Tommaso riuscì a trasformare la rabbia di Chinaglia & Co. in una forza mentale unica e irriducibile che fece della Lazio del 74’ un esercito invincibile. Il Maestro divenne il collante indissolubile di quella meravigliosa ed eroica marmaglia di pirati, e per questo riuscì a entrare nella leggenda e nel cuore dei laziali come il mitico Long John. Ma purtroppo, un uomo della sua statura non aveva nulla di “terreno”. Maestrelli era talmente perfetto, straordinario e signorile che anche Dio né aveva invidia di non averlo accanto…e così se lo riportò con sé troppo presto per noi laziali. Nel 1976, dopo una dura e lunga battaglia, il Maestro lasciò la sua vittima terrena a causa di un tumore allo stomaco e nel cuore dei suoi “ragazzi” e della “gente laziale” si creò un dolore e un’amarezza profondissima. Da allora, nulla sarà come prima. Senza la sua guida, senza la sua luce la Lazio si trascinerà irrimediabilmente nell’oscurità totale, sprofondando negli abissi calcistici e non solo. Infatti, dopo la morte del Maestro ci sarà un’ altro decesso assurdo, quello di Re Cecconi, ucciso per un banale scherzo che lo stesso fece ad un suo amico gioielliere. E poi il calcio scommesse e la lunga agonia della Serie B che terminerà definitivamente solo nel 1988, dopo la drammatica ma allo stesso tempo meravigliosa stagione dei -9.
Anche per Giorgio Chinaglia la morte di Maestrelli rappresenta un punto di non ritorno. Per lui il Maestro era molto di più che un allenatore : era un secondo padre, la persona con cui sfogare la sua rabbia e che anche con una semplice carezza leniva l’ira burrascosa e goffa del ggigante d’argilla Long John. Il decesso del suo “papà” porta dunque Chinaglia nella disperazione totale e come un filo parallelo incomincia il suo supplizio personale, insieme a quello della sua squadra del cuore. La partenza per l’America, il ritorno alla Lazio come presidente fallimentare, la scalata del 2006 della società che lo porta ad essere accusato di “aggiotaggio”, la latitanza in Canada, ed infine il lungo e lento esilio in Florida, dove si spegnerà definitivamente il 1 Aprile del 2012.
Chinaglia, dunque, è stato unico nel suo genere. Un giocatore fuori da ogni stereotipo e luogo comune, una leggenda calcistica che ha sempre scosso nel bene e nel male l’animo della gente laziale. Ma i tifosi lo terranno sempre nel loro cuore con quel fermo immagine, che a distanza di quarant’anni non è sbiadito e non sbiadirà mai : lui, impettito, rabbioso ed orgoglioso che punta il dito contro la Curva Sud. Perché il laziale, da allora, ha recepito lo spirito del grande Long John ed è rimasto tale e quale : Fiero di essere da solo, e pronto ad affrontare il tifoso romanista a muso duro e senza paura. Contro tutto e tutti. E per dire grazie al nostro condottiero di essere diventati come lui e di aver acquisito il suo stesso spirito battagliero, migliaia di persone si sono recate alla Chiesa del Cristo Re a Piazza Mazzini lunedì. Gente di ogni età è venuta a omaggiare Giorgio, finalmente ritornato nella sua Roma. Ognuno, consapevole delle sue imprese e della sua grandezza : dai bambini, ai ragazzi come me che non l’hanno vissuto, fino ai più anziani che avevano seguito ogni sua singola gesta. Tutti, a onorare la leggenda, il pirata Long John, che ora potrà finalmente riposare in pace insieme al nostro grande mito : il mite, saggio, buono, straordinario Tommaso Maestrelli. Entrambi sono stati trasferiti nella Cappella di famiglia dei Maestrelli a Prima Porta. E finalmente entrambi potranno riabbracciarsi in un ideale e meraviglioso “paradiso biancoceleste”. Perché il figliol prodigo è definitivamente tornato, a casa e potrà rimanere per sempre accanto a suo “padre”…anzi, al suo Maestro.
Da Casa Lazio, Marco Pontremolesi