Roma, 3 febbraio 2012
- Mario, che c’è? Sembri nervoso. Avresti dovuto sistemare la cantina, ricordi?
- Sì Elsa. Il fatto è che è una giornata un po’ balorda, ecco. Tutta questa neve m’inquieta.
- Ma come? Non eri tu che mi raccontavi sempre delle tue gite in montagna, quando eri dai Gesuiti?
- Sì ma che c’entra. Stavamo sempre chiusi in albergo, al massimo un’oretta d’aria per interrompere l’espiazione. E poi non è che non mi piace… ma lo sai. Io preferisco il mare, il mare in tempesta, le onde che si scontrano, l’odore del sale, il capitano Achab, la nave Pequod…
- Siamo a febbraio, Mario. Basta con ‘sto mare. E poi, se non è vero che non ti piace… su, non fare il bambino. Sono mesi che leggi e rileggi Moby Dick. Guarda fuori, non ti sembra Moby Dick?
- No. Moby Dick era dinamica, flessibile. Qui è tutto così fisso, stantìo. Stamattina mi ha fatto una distinta impressione, oggi invece sono stufo… è la monotonia che mi affossa. Poi è tutto così bianco, così soffice. Non c’è sacrificio. Non vedo la sofferenza. Riesco a percepirla solo sul sito di Repubblica. Sì, su Rep ti fai qualche risata, per carità. Però lo sai, io sono come San Tommaso. Ho bisogno di emozioni dirette. Poi tutti questi fiocchi, tutti uguali…
- I fiocchi non sono tutti uguali, Mario. Dovresti saperlo, hanno infinite forme.
- A marzo compio 69 anni, Elsa. Emozionarsi per la neve a 69 anni è da sfigati. Poi ‘sti fiocchi, le infinite forme. Bah. Sono troppo piccoli, Elsa. Io cerco l’ebbrezza della maestosità. A me le cose piccole sembrano sempre tutte uguali. Insignificanti, e monotone.
- A proposito di cose piccole, sistema le viti della scala a chiocciola, almeno.
-Ecco, lo vedi? Tutto così uguale, tutto così palloso, tutto così piccolo…
- Mi costringi a dire quello che non voglio dire, Mario.
-No, per carità. Vado, vado…