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Nei confronti del mercato ho un rapporto ambivalente. Lo detesto e mi diverte allo stesso tempo. Con in mezzo tutta una serie di distinguo che forse riuscirò a sintetizzare. Forse. Non garantisco.
Il vero nodo della questione è che io non sopporto la calca, la folla, gli spintoni, quel senso di soffocamento che ogni tanto prende, soprattutto nelle strettoie delle strade tra i banchi. Questo non fa di me, geneticamente, una tipa da mercato.
Al mercato non so comprare. Cioè non so comprare abbigliamento, borse, scarpe, suppellettili.
E se ancora non bastasse, non ho pazienza. Non ho la pazienza di rovistare tra i banchi, di sgomitare con chi mi è vicino, non ho, soprattutto, la pazienza di girare, con il sistematico rigore che contraddistingueva le nostre nonne, di banco in banco per scovare l'affare. O l'affare mi si presenta come un croco che spunta dalla neve, o io proprio non lo vedo.
Però al mercato vado.
Non a quello settimanale vicino a casa, perché non ho mai tempo, fondamentalmente, e perché la folla mi mette ansia, ma non c'è località nella quale io abbia viaggiato per lavoro o per diletto nella quale io non sia andata in cerca di mercato.
Quelli di alimentari e i bric-à-brac mi divertono particolarmente e finisco anche per comprare, attratta soprattutto dai profumi. I miei acquisti nei Suq di Marrakesh o al Gran Bazar di Istanbul restano leggendari, ma mi sono difesa bene anche al ViktualienMarkt di Monaco e alla Boqueria di Barcellona.
Mi manca la Vucciria di Palermo, ma mai dire mai nella vita.
Non mi sottraggo allle grandi kermesse del mercato, come l'Artigiano in Fiera di Milano, ma è il mio cimento invernale. Sui mercatini di Natale, invece, in genere passo.
A Moore Street si può comprare quasi tutto, con la sfilza di negozi che ci sono, ma sui banchi si concentrano in prevalenza frutta, fiori, verdure e pesce. Agnes e Marion vendevano, giustappunto, frutta e verdura. Per rifornirsi si trattenevano al mercato all’ingrosso fino alle sei e mezza, ma dedicavano solo pochi minuti alla scelta della merce: ormai i commercianti sapevano bene di dover dar loro i prodotti migliori se non volevano pagarne le conseguenze. Il resto del tempo lo impiegavano chiacchierando, mettendosi in pari con i pettegolezzi e risolvendo i reciproci problemi, perché lì, nelle prime ore di un’alba dublinese, si riusciva a trovare il rimedio al rachitismo e la cura per un taglio infetto, o magari si scopriva il segreto per far correre più veloce un levriero strofinandogli sulle zampe uno straccio imbevuto di trementina. Poi, dopo una tazza di tè caldo e una fetta di pane tostato al Rosy O’Grady’s Market Café, le due signore si recavano al lavoro, con le carrozzine ancora vuote. Più tardi ci avrebbe pensato Jacko, il fattorino, a consegnare le cassette di frutta e verdura col carretto trainato da un cavallo.[Brendan O'Carrol - Agnes Browne Mamma]
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