Magazine Diario personale
Ma io non sono mai andata avanti per “conoscenze”, e sono così onesta da non negare nemmeno di averle, invece, disperatamente cercate. Ho iniziato a fare teatro, falsificando firme e autorizzazioni, che avevo circa quindici anni. Lo feci per evitare i soliti ricatti e compromessi dei miei: devi passare l’anno, devi studiare sodo eccetera. Ancora minorenne entrai in Compagnia falsificando ancora una volta documenti e richieste e presentai il conto a mia madre al termine dell’anno scolastico: bocciata. Avrei fatto l’attrice solo a patto che fossi entrata all’Accademia d’arte drammatica, altrimenti una facoltà qualunque e poi si vedrà. Ma l’Accademia era ormai nelle mie mire. Mi vedevo già, novella Duse, acclamata in tutti i teatri d’Italia. Anche in quel caso mi piovvero sulla testa avvertimenti e mortificazioni: bisognava avere molti santi in paradiso, che su circa seicento aspiranti allievi ne avrebbero selezionati quindici, che io non ero né bellissima né ricchissima né figlia d’arte e che quindi potevo prendere il mio bel sogno e chiuderlo a doppia mandata in qualche cassetto. Mi preparai a dovere, diedi la maturità da privatista, la superai, e feci la richiesta d’iscrizione alla Silvio D’Amico.
Il destino crudele volle che in commissione, e come docente del primo anno, ci fosse il regista Mario Ferrero e che “per carità” avesse saputo che ero la nipote di mia zia, la Valmorìn (che magari gli addetti ai lavori conoscono) e che Ferrero aveva in grande antipatia. Ci aveva lavorato nel lontano 1967, forse non si sarebbe ricordato di lei, pensai, e visto il nome d’arte, non l’avrebbe nemmeno collegata a me. Ma la memoria degli artisti non va sottovalutata così, al termine della mia prova d’ingresso, un Wedekind giusto per fisico del ruolo e indole, con voce acuta e nasale Ferrero mi domandò se per caso non fossi parente della zia in questione. Dissi di no. Che Barbara Valmorìn non sapevo nemmeno chi fosse. Ci sono persone cui l’esistenza mette i bastoni fra le ruote, una di quelle sono certamente io. Poi c’è stato il teatro di ricerca, i premi, i festival, Torino e la lunga esperienza con Valter Malosti, e il nome, il mio, piccolino ma cazzuto, finalmente in grassetto sulle locandine. Ho avuto Maestri importanti e li ringrazio ancora. Guicciardini, ex aiuto regista di Bertold Brecht (quello che siede dalla parte del torto) che mi ha insegnato l’importanza dell’onestà intellettuale e tutte le menate del caso, che però servono tanto (eccome se servono!) quando sei nella merda fino al collo e non sai come pagare l’affitto. Principi morali che mi venivano in aiuto quando, di ritorno da una replica d’incasso al botteghino, me ne tornavo a casa sul notturno, direzione Cassia-Tomba di Nerone, alle due del mattino e con in tasca la bellezza di seimila lire di guadagno. Camilleri, che ci raccontava le meraviglie dell’arte e i suoi compromessi e Angelo Corti, che ci ficcava in testa l’importanza dell’etica a suon di addominali. Sapevo, sapevamo e sappiamo tutti come vanno le cose. Ma non ci si può piegare a certe logiche se si percorrono strade illuminate da verità.
Ho sempre dato il massimo. Ho studiato. Ho studiato anche quando, per amore, ho lasciato un contratto allo stabile di Modena per mettermi a lavorare per uno dei primi Portali italiani di web hosting e housing. Sempre di comunicazione si trattava, era comunque una materia affine alle mie corde, mi eccitava il rumore della connessione alla rete e l’idea della comunicazione globale mi mandava in estasi. E l’ho fatta mia. Mi sono divertita, per dieci anni ho viaggiato per il mondo, fatto corsi e Stage. Ho lavorato, ho guadagnato, e alla fine ho perso tutto. Ho ricominciato da zero e da sola.
È per questo, forse, che oggi e a più di quarant’anni, mi meraviglio e piango come una bambina, quando scopro che con il denaro si compra tutto, anche una recensione. "Justine 2.0" l’ho pubblicato con un Editore piccolo ma vero, ho penato veramente perché insicura e incerta, ho avuto e ho paura, com’è giusto che sia, dei giudizi e dei pregiudizi altrui, e sto faticando come una bestia per promuoverlo e vendere e se, a una mia ingenua richiesta di informazioni per una recensione corrisponde un preventivo, come è successo stamattina, mi cascano le braccia, mi do della stronza, batto la testa contro il muro e mi domandando perché non sono rimasta a vivere in Indonesia.
Ora mi toccherà fare molti riti magici perché questo brutto episodio si cancelli dalla mia memoria. Sto dalla parte degli onesti, di chi vuole ottenere riconoscimenti veri e spontanei per ciò che scrive e crea e non pagare per uno sfizio personale che, in fin dei conti, e guardandosi allo specchio, conta meno di niente. Non sono più tanto sicura che la sincerità renda più dell’imbroglio, non qui almeno, non in questo paese, ma non è importante, almeno non per me.
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