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Caso Aldrovandi, “sbirri” ed ordine pubblico.

Creato il 03 luglio 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012
aldrovandi

-Di Carmen Gueye

Di recente sono esplose nuovamente furiose polemiche sul caso di Federico Aldrovandi.
Riassumiamo brevemente il caso.
Nel 2009 questo ragazzo ferrarese, ventunenne, sta tornando a casa dopo una nottata diremmo “trasgressiva”, in un locale; nessuno, nemmeno la famiglia, ha mai escluso l’uso di stupefacenti da parte del giovanotto, abitudine ahimé invalsa da anni in un certo genere di discoteche e affini, alquanto diffusa tra le nuove generazioni. Non intendiamo esprimere giudizi, riservandoci la trattazione in successivi articoli.

Qualcosa di oscuro accade, quando interviene una volante con quattro poliziotti (tre uomini e una donna); la conclusione è la morte di Federico.

I genitori affranti intendono dare battaglia, avviano una causa e mobilitano la rete; la Polizia di Stato serra i ranghi. Nulla di strano, si direbbe, in nessuna delle due posizioni.
Davanti a una madre che si vede consegnare un figlio con il corpo devastato dalle ferite, sfilerà il film del comune passato: quando lo teneva in grembo, lo vide nascere, lo allattò e cullò, il primo giorno di scuola, le prime marachelle, le successive preoccupazioni: una vita di sorrisi e lacrime, probabilmente.

Gli apparati dello Stato sfoderano la storica solidarietà di corpo e forniscono la loro versione che, in passato, in genere pesava qualcosa in più di quella del semplice cittadino.

Sarà che i tempi sono cambiati, ma questa volta va un po’ diversamente. Si incrociano perizie e controperizie, spuntano omissioni e ritardi da parte di chi doveva fornire la documentazione; la testimonianza contro la Polizia è netta da parte dell’unica testimone oculare (cittadina extracomunitaria), quella a favore molto più controversa. Infine si giunge a una condanna in Cassazione, peraltro indultata; e ad un risarcimento, pare di due milioni di euro (fonte, Wikipedia).

L’esito non è andato giù ai poliziotti, che sposano compatti la tesi della morte per overdose e con questa motivano le escandescenze incontenibili della vittima; molti di loro, nei giorni scorsi, si sono scatenati in web con epiteti davvero crudi, che non riporteremo, sul conto del giovane defunto e della madre, accusata di essere stata una cattiva educatrice.

La prendiamo da lontano. Un certo mondo dello spettacolo, cinema e televisione, ha campato e campa sulle figure di “mitici” personaggi, da figure vere del passato (come Joe Petrosino, che morì lottando contro la mafia), a quelle uscite dalla penna di scrittori come Camilleri, che ha prodotto il gettonatissimo commissario Montalbano. La tendenza è mondiale e gli interpreti sono stati spesso assai prestigiosi: chi non ricorda, per esempio, lo splendido Gino Cervi/Commissario Maigret, altro parto letterario del grande George Simenon? Per non parlare dei supereroi a stelle e strisce, sempre intrepidi e raramente mele marce, benché un certo Serpico, a rischio della vita, abbia provato a farci sapere dell’altro.

Noi riteniamo che indossare un’uniforme in rappresentanza dello Stato sia onore, responsabilità e anche onere. Non è un mestiere facile, oggi poi, che delinquenza comune e organizzata non danno tregua; e non mancano certo le vittime cadute sul campo, specialmente nel periodo dei cosiddetti anni di piombo.

Proprio per questo ci chiediamo, per ora senza darci una risposta, come sia potuto accadere (attenendosi alle sentenze) che un quasi adolescente inerme abbia potuto essere pestato a sangue e fatto passare addirittura per una specie di terminator che tre agenti (lasciamo stare la ragazza) non riuscivano a tenere a bada, magari chiamando a rinforzo un’automedica (ricordiamo, peraltro, che secondo i resoconti nella volante era in dotazione anche un defibrillatore).

Allora il pensiero torna al 2001, al G8, alle efferatezze commesse in nome di un ordine pubblico che tutto giustifica; e alla morte di Carlo Giuliani. Anche su questa storia non intendiamo prendere una posizione particolare, ma riferire l’amarezza che ci ha lasciato addosso.

Il redattore di questo articolo è genovese e conosce l’ambiente di parte “ministeriale”, pertanto è vincolato a non divulgare notizie interne; tuttavia non può esimersi dal rammentare un certo cinismo dei commenti dell’epoca.

Ci chiediamo se nessuno dei tutori dell’ordine abbia figli; se non abbia sperimentato la difficoltà di educarli (ma sappiamo per certo di sì ed esistono casi eclatanti); se la pietà alberghi in loro almeno davanti alla morte!

E dunque, temiamo fortemente che quella divisa destinata a rassicuraci, diventi una corazza per stabilire una barriera con il resto del mondo. C’è del “marcio” in ogni uomo, ci avverte pressappoco Giorgio Gensini, ex poliziotto, autore di “Genova sembrava d’oro e d’argento”, che narra appunto gli scenari di quel lontano G8; e sembra indicare una contrapposizione con la società civile difficilmente sanabile. Ci porta a immaginare la solita figura di “sbirro” implacabile e senza sentimenti, per cui ognuno è un nemico.

E’ questa la giusta formazione per chi deve combattere in strada? E’ una guerra?


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