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Cassazione: rischia il carcere chi diffonde su internet un numero privato di cellulare

Creato il 09 giugno 2011 da Cindi
Cassazione: rischia il carcere chi diffonde  su internet un numero privato di cellulareQuattro mesi di reclusione per aver violato la privacy di un privato cittadino, divulgandone su una chat pubblica il numero di cellulare . È questa la decisione della  Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 21839, ha confermato la condanna già stabilita dalla Corte di Appello di Milano l’11 maggio 2010.Ma vediamo di ricostruire la vicenda..
“Nel corso di un colloquio virtuale su una chat line il R., utilizzando quale nickname la sigla weboy21, si inseriva in un canale chat privato gestito dal B., intrattenendo con lo stesso una conversazione virtuale poi degenerata (seguita, in particolare, da una telefonata di insulti rivolti dal R. al B.) e diffondendo sulla chat pubblica il numero dell’utenza cellulare del B., del quale era venuto in possesso durante quel colloquio.”
.La Suprema Corte ricorda, nella sua sentenza, che la norma che regola il «trattamento» di dati personali si applica a «chiunque»,quindi anche i soggetti privati e non solo coloro che sono “titolari” di informazioni per motivi “istituzionali”. Del resto, nonostante quanto affermato la difesa dell’imputato, il Decreto Legislativo 196/03 è assolutamente chiaro sul punto.

Art. 5. Oggetto ed ambito di applicazione
…omissis…

3. Il trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali è soggetto all’applicazione del presente codice solo se i dati sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione. Si applicano in ogni caso le disposizioni in tema di responsabilità e di sicurezza dei dati di cui agli articoli 15 e 31

Chiarito ciò la Cassazione prosegue:

“Può quindi affermarsi senza tema di smentita che l’assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguardi tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitrii o pericolose intrusioni.
la punibilità – in caso di indebita diffusione dei dati – può dirsi esclusa se il soggetto detentore del dato abbia ciò acquisito in via casuale, in quanto la norma non punisce di certo il recepimento del dato, quanto la sua indebita diffusione.”

Quanto poi al concetto del danno previsto dall’articolo 167 del D.Lgs 196/03 e del quale la condotta denunciata sarebbe – ad avviso della difesa dell’imputato- priva, la Corte afferma che:

“…si tratta di una opinione nient’affatto condivisibile e nemmeno giustificata dalla realtà dei fatti per come afferma la Corte territoriale, sia pure in modo implicito. Invero la diffusione in ambito generalizzato di un numero di utenza cellulare – per sua intrinseca natura, riservato, tanto è vero che solitamente negli elenchi telefonici pubblici distribuiti dalla TIM (ma anche in altri elenchi in possesso di soggetti che li tengono a disposizione dei terzi) figura solo il numero telefonico pubblicabile e mai quello di un’utenza cellulare a meno che il suo titolare non vi abbia consentito – è certamente produttiva di danno: elemento, quest’ultimo, preso in considerazione dal legislatore che lo ricollega all’elemento soggettivo del reato inteso quale dolo specifico (”al fine di recare ad altri un danno” recita la prima parte dell’art. 167 citato).”

L’autore della violazione della privacy (incensurato) si è potuto avvalere della sospensione condizionale della pena, evitando così di finire in carcere.


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