Castellana Bandiera

Creato il 25 marzo 2011 da Alboino
Strane cose accadono nel nostro Paese: accade ad esempio che una regista teatrale fra le più stimate e innovative degli ultimi vent’anni nell’orizzonte europeo, trovi difficoltà a farsi produrre il suo primo film, mentre non ci sono ostacoli per girare i vari cine-panettoni che affollano le nostre sale nel periodo invernale. Emma Dante vuole passare dietro la cinepresa per trasformare il suo romanzo “Via Castellana Bandiera” in film; purtroppo però questo suo desiderio è circondato da attese e false partenze. Qualcuno asserisce che non necessariamente la bravura di Emma Dante può rivoltarsi anche al cinema, dato che le due arti sono completamente diverse. Ma non per la Dante diciamo noi che nel solco della tradizione di Tadeusz Kantor ha dato prova di saper far dialogare il teatro con le arti visive. Provate a vedere il suo ultimo “Occhiali” per rendervi conto della poliedricità artistica della palermitana. Inoltre per il film della Dante c’è una ragione in più che è prettamente intima, infatti “Via Castellana Bandiera” è la strada della sua infanzia dove è racchiuso tutto il suo mondo. Anche sulla cifra stilistica la Dante rassicura tutti, dichiarando di voler sostituire sì l’azione teatrale con la finzione cinematografica, ma senza però tradire la propria arte. “Voglio portare il mio teatro al cinema restando consapevole che è altro ma facendo lo stesso tipo di lavoro sulle storie, sugli attori. E affronterò un lavoro di scarnificazione della verità”. Già gli attori e le storie. Gli attori fanno a gara per lavorare con la Dante anche se molti poi la rifuggono per paura di scoprire se stessi. Il lavoro di regia della drammaturga è un percorso verso l’identità, una ricerca nella crudeltà umana che è poi il superamento dei pregiudizi morali. Ci sono poi le storie che non convincono per niente la Dante: “La maggior parte dei film destinati alla TV italiana, per la velocità di lavorazione e la scrittura frettolosa, diventano detestabili. L’idea della serie, poi, mi irrita. Che la gente si debba affezionare per forza alla trama dice molto sul futuro dell’Italia. Questo tentativo di addomesticare gli spettatori un po’ mi spaventa. L’opera d’arte è tenere il pubblico all’erta, sempre nella condizione di farsi domande, bisogna rendergli lo spettacolo scomodo”.

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