Fa freddo, d'aprile ad Amburgo. E' il 1932, e Walter Benjamin si appresta ad imbarcarsi sulla "Catania", per riprendere il suo lungo periplo dell'Europa. La Francia, la Danimarca, fino alle coste spagnole ed italiane. Pensieri, progetti, continuano più tardi, sul ponte della nave, mentre cammina avanti e indietro. Un libro, per "raccontare una lunga storia interrotta da dei sogni". I quarantasette racconti inediti che, raccolti sotto il titolo "Non dimenticare il meglio", andranno a comporre una trama singolare, fatta di spazi, di tempi, di sogni. Un giovane uomo che intraprende un viaggio per andare a far visita alla nonna morta da lungo tempo, e finirà per incontrare una giovane donna vestita di un abito azzurro sbiadito; un turista a Parigi beve un caffè e mentre sorseggia dalla tazza si domanda se una volta, da bambino, sia stato seduto a quello stesso tavolo.
"Quante navi avranno attraversato questo ghiaccio di marmo"!
Un borghese esaurito entra in un'osteria di Roma, una sorta di spelonca affollata di operai, e si ingozza di pezzi di baccalà nell'indifferenza generale; quest'uomo cammina, ma non si muove nelle strade della Roma fascista, ma dentro lo spazio della modernità.
Tutti i personaggi di Benjamin assomigliano al "flaneur" di Baudelaire: sono in cerca di un asilo in mezzo alla folla, e rimangono sulla soglia del mondo. Né borghesi né proletari, il cuore della massa. Il lettore viene trascinato, da questi racconti, dentro un universo onirico, in un sogno senza tempo. Lontano dal mondo dove la passione pubblica suprema reclama "un centro, un führer, una soluzione".
Il filosofo tedesco, marxista scettico, ostile alle istituzioni universitarie, viaggiatore insaziabile, traduttore di Baudelaire e di Proust, su quella nave non scrive niente di teorico, niente di rivoluzionario. Dissotterra dalle pieghe del tempo una materia letteraria sedimentata dai millenni, il racconto. Storie, racconti senza spiegazioni, senza psicologie, che fanno scivolare il lettore dal presente al passato, dalla realtà al sogno. Atmosfera, concisione, l'arte della caduta, farebbero pensare a Borges e, certamente, a Kafka. Ma soprattutto è al filosofo Walter Benjamin che bisogna pensare; proprio a lui, a quello che nella sua opera a proposito del "Narratore" rivela il posto particolare, e dimenticato, che ha il racconto, spazzato via dal romanzo e dall'informazione. "Ogni mattina, veniamo informati sugli ultimi avvenimenti sopravvenuti sulla superficie terrestre. Eppure, siamo poveri di storie degne di nota". Non dimenticare il meglio, rimane fedele alla sua estetica, che cerca incessantemente di riportarci la potenza dell'origine. L'aura dell'opera d'arte e quella del racconto, subiscono le stesso identico declino.
Perché si sta perdendo l'arte di raccontare delle storie?
"Non si poteva forse già allora constatare che le persone ritornano mute dal campo di battaglia? Non più ricche, ma più povere di esperienza comunicabile."
Continua a dire Benjamin, sul ponte della "Catania", nell'aprile del 1932, mentre medita il progetto di "raccontare una lunga storia interrotta da dei sogni".
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