Per me la doccia del mattino è foriera di profonde meditazioni. Per esempio, stamattina pensavo a Mimì Ayuhara (qui nella traduzione di Pianobi, se non erro, e se erro dimmelo!). Pensavo anche a un aneddoto che ci aveva raccontato Marina D'Amato durante un seminario sulla produzione audiovisiva per bambini: una mattina si era svegliata sentendo sua figlia che si esercitava a pallavolo, le aveva chiesto perché avesse cominciato così presto e la bambina aveva risposto "Mi alleno per il duro lavoro". Frase tipica di Mimì, che si allenava con le catene ai polsi per rinforzarli (e mi chiedo che cosa ne penserebbe un ortopedico).
Ora, penso che tutta la mia generazione sia cresciuta a massiccie dosi di cartoni animati giapponesi. Tutti (o quasi) infarciti di valori ripicamente giapponesi: il senso del dovere, il rispetto per i superiori, il sacrificio di sé, la tensione verso l'eccellenza e verso il raggiungimento dei risultati, eccetera.
Valori che, se non portati all'estremo, sarebbero molto utili a questa società italiana dove la colpa non è mai di nessuno, dove a compiere il proprio dovere si sembra scemi, dove trionfa il furbo.
Di questi milioni di bambini cresciuti a pane e anime, quanti sembrano aver interiorizzato i valori veicolati dai cartoni animati? A me ben pochi, se non nessuno.
Ora ribaltiamo la situazione sui nostri figli. Siamo molto preoccupati di quello che guardano in TV, dei modelli sessisti di certi programmi, della frivolezza delle Winx o del Mondo di Patty. Ma davvero pensiamo che il modello dei cartoni animati sia così importante? Davvero pensiamo che le proporzioni di una Winx determineranno l'atteggiamento delle nostre figlie nei confronti del proprio corpo? Io penso che, come nel caso degli anime, il messaggio delle Winx o di Ben Ten saranno mediati se non annullati dall'esempio che verrà dato in casa.
E penso (spero) che tra 20-30 anni Amelia penserà alle Winx e trarrà le stesse conclusioni che io ho tratto riguardo Mimì e Goldrake.
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