Il tricorno e il ventaglio, Mila Manzatto
Adoro le presentazioni di libri con l’autore! Di questa, poi, che si è tenuta stasera nella sala consiliare di S. Stino di Livenza, ero molto curiosa perché la prof.ssa Flavia Furlanetto mi nominava spesso l’autrice, Mila Manzato, sua amica, e le aveva anche fatto scrivere un paio di poemetti che ci aveva poi letto alle feste di compleanno di due zii.
Ed è proprio Flavia Furlanetto che l’autrice ha ringraziato dedicandole qualche parola in più. Flavia, l’ultima volta che ha letto il libro, aveva detto che avrebbe avuto… successo. Parola di moda, oggi, ma nella cerchia di Flavia e dell’autrice l’occasione è molto poco mediatica: intendeva successo nel senso di riscontro culturale, curiosità.
Adoro le presentazioni di libri anche perché si trova gente con la Passione. Non potrebbe essere altrimenti, perché ci vuole passione per ricordarsi con facilità tanti nomi, date, episodi; e penso in particolare alla foga del dottor Marini, che ha curato l’introduzione storica, e che potrebbe essere un “concorrente” dell’Alvise Zorzi in materia veneziana.
Mila Manzato ha raccontato che i primi semi di questo libro sono stati gettati venti anni fa, mentre leggeva n articolo sul Gazzettino del professor Claudio Povolo. Lo studioso aveva scoperto che gli atti diun processo del seicento riportavano la storia e i personaggi dei Promessi Sposi (genesi che ora è riconosciuta anche da molti italianisti). E la Manzatto si è detta: devo seguire questo studioso.
Da lì è nato l’interesse per il contetto di ONORE (il Povolo ci ha anche scritto un saggio, “L’intrigo dell’onore”), che è il perno attorno cui ruota “Il tricorno e il ventaglio”.
Perché il concetto di onore nella nobiltà veneziana del Settecento sconcertavam molti viaggiatori di passaggio. Come è nata la figura del cavalier servente (o, quasi volgarmente detto, cicisbeo)?
E’ tutta una questione di soldi. Ne accenno soltanto, peché il libro l’ho comprato oggi e non l’ho ancora letto. La Venezia del Settecento era molto conservatrice, preoccupatissima che il potere restasse nelle mani dei nobili. Dunque, i matrimoni combinati erano la regola.
Ne conseguiva che le donne, che restavano in convento dai sei anni di età fino al matrimonio, erano spesso le prime a chiedere la separazione per vizio (cioé per volontà mancante). Peccato che se il matrimonio si scioglieva, le doti, spesso ingenti, dovevano essere restituite alla famiglia della moglie (sappiate che quasi la metà dei nobili erano… poveri, in sé).
Molto meglio lasciare alla consorte la libertà che la facesse restare zitta e buona!
I cavalieri serventi erano una di queste libertà.
Nobili e celibi, spiantati perché non potevano lavorare e perché le ricchezze paterne erano destinate ad un altro fratello (solo uno, per non spezzettare i patrimoni), si ingegnavano accompagnando le intelligenti dame, al gioco, nei salotti, alla caccia… In cambio ne ricevevano a volte denaro, a volte vitto, a volte alloggio, o abbigliamento…
No, non ricevevano in cambio quello che pensate (Casanova era un libertino, non un cicisbeo). O almeno non sempre.
Conclusione un poco comunista e un poco femminista: la sovrastruttura economica detta legge, ma, nella Venezia di allora come nel mondo di oggi, una donna trova sempre le sue scappatoie…