Attenzione! La seguente è un’opera di fantasia dai contenuti violenti, inadatta ai minori di spirito.
8 Dicembre 1835
“Sei interessato solo al potere, figlio mio. La nobiltà è un concetto che sembra non appartenerti. Mi fai paura. Non hai il senso dell’onore.”
Ripenso a mio padre. All’epoca ero solo un ragazzo… Sorrido.
Pietro solleva la bistecca col forchettone, la rigira. La cucina in padella, con un goccio di olio, sul fornelletto ad alcool.
La taverna è colma di varia umanità. Ceffi impegnati a giocare a poker, con carte ingiallite come i loro volti unti. Suppongo siano tutti dei bari di professione, per cui il gioco è alla pari.
Un postribolo all’inferno, nel ventre di Parigi, la puttana d’Europa che aprì le cosce a Bonaparte.
Il cuoco irlandese è anche il proprietario, conta i marenghi sul bancone, lisciandoli avido. Li prende con entrambe le mani. Tintinnano. Confida nel timore che incute, la cicatrice che gli taglia mezza faccia, dalla fronte , passando per l’orbita vuota, arricciata e nuda, fino al mento. È il capo, qui. Una sorta di Re del Sottosuolo. Lo immagino alla testa della parata di San Patrizio, truccato di verde, che ruggisce e bestemmia, armato d’un bastone con la capocchia liscia.
Perché tagliarci la gola, quando può avere altre monete? O forse è stato Pietro, a convincerlo, dopo avergli mostrato la testa.
Il mio amico pensa sia il posto giusto. Solleva la bistecca che è ancora rosa. Nell’aria si spande una fumata bianca di olio bruciato. L’accompagna sul tavolo e la stende, poi la taglia col coltello. Un pezzo grande, polposo. Lo addenta, e solo allora il grugno perenne che ha sulla bocca si allenta. Poi le rughe si segnano di nuovo, tra la barba grigia ispida. Profonde.
Germaine deglutisce guardandolo. Torna a sorseggiare il suo tè. Incredibili le finezze che si riescono a ottenere da una bettola, avendo i mezzi.
Gli occhi di Mathieu mi fissano ancora dalla boccia di vetro, sul bancone, accanto allo sfregiato. Le sue orecchie in quella dall’altra parte del bancone, in un miscuglio rossastro. Una specie di assicurazione, che siamo disposti a fare certe cose, a pagare una tantum, che siamo anche noi come tutti i signori qui presenti… gentiluomini.
«Che ne pensi di quello che ci è capitato quella notte?»
Pietro mastica, si blocca, si mette un dito tra i denti. Lo tira fuori con un pezzetto di carne attaccato all’unghia. Fa spallucce e ricomincia ad affettare.
«Mathieu non sembrava saperne molto più di noi…» osservo.
Addenta un altro pezzo, ignorandomi. Germaine continua a guardarlo da sopra il bordo del bicchiere di legno che le copre il naso.
«Credi davvero che quegli esseri minuscoli abbiano la forza per fare quello che hanno fatto?» insisto.
Afferra la brocca di vino e tracanna. Liquido rosso scuro gli cola dai lati della bocca, sulla camicia bruna e sul tavolo. La sbatte sul ripiano e rutta.
«Penso di aver capito perché siamo qui, sai?» sussurro.
Si blocca. Gli occhi su qualcosa alle mie spalle. Sopraggiunge la voce. Uno dei gentiluomini del poker. Mano sul tavolo, mi dà le spalle, guarda Germaine. Si china per dirle qualcosa all’orecchio, dopo ride sguaiato.
«Se dobbiamo fare da esca, visto che al nostro amico piacciono i bordelli…» ricomincio, afferrando la forchetta. Mi alzo veloce, buttando indietro lo sgabello. Colpisco con la pianta dello stivale la gamba di quello, all’altezza del ginocchio. Si abbassa, farfuglia qualcosa. Gli passo un braccio intorno al collo, stringendo. Avvicino la forchetta al suo viso.
Cade in terra. Si contorce e geme, le mani piazzate sul volto, rigate di sangue.
«…Tanto vale che lo facciamo per la nostra stessa vita, più che per i francesi. È corretto, il mio pensiero?»
Pietro sorride. Poi smette, di colpo. Germaine gli ha rubato quel che restava della bistecca. La divora tenendola fra le mani, strappando i pezzi tra i denti, con bruschi movimenti del capo.
Nella taverna c’è il silenzio, rotto solo dalle urla dell’uomo steso sul pavimento lercio. Mi avvicino al bancone e poso l’occhio davanti allo sfregiato, ancora attaccato alla forchetta.
In camera, Germaine sembra enorme. Un gigante. Forse mi ha fatto qualcosa. Mi sovrasta eppure è leggera, fredda e languida. E insieme piccola. Dice di sentirsi bene, che mi vuole.
Il cuore batte come quando sentii il primo colpo di cannone e guardai lo scempio che delle budella degli uomini fa il ferro. La ferita sul suo collo è maleodorante. Forse.
Mentre sono con lei sembra dolce, invece, se l’assaggio…
***
5 Dicembre 1844
La donna indossa stivali alti da cavallerizza. Un mantello col cappuccio. La pelle bronzea, accenna un sorriso gentile, mentre mi osserva dalla poltrona rossa, da sotto la frangia di capelli neri. La vera proprietaria del museo.
«Sono offesa, Cavour. Non siete il gentiluomo che mi avevano descritto. Rifiutare così l’invito di una Signora…»
Accavalla le gambe e mette le mani sul ginocchio, incrociando le dita. Le unghie lunghe, curate.
Attizzo il fuoco nel camino. «L’Egitto non mi appassiona. E… perdonatemi, non sono solito accettare inviti nel cuore della notte, specie da sconosciuti.»
Ride, i denti bianchissimi, perfetti. «Riconosco che la scelta del momento non è stata delle più… opportune.»
Guardo i fogli sparsi sulla scrivania, i progetti delle fogne. Poi torno a occuparmi del fuoco. «Specie se si considera il non trascurabile dettaglio che c’è un solo uomo, a Torino, a sapere ch’io sia in città. Avete risorse nascoste perfino a Palazzo?»
«Mi credete così sciocca da rispondervi? Al tempo, Cavour, dopo che avremo discusso.»
Fuori, rumore di piccoli passi. La Dama d’Oriente non può sentirli. Germaine è venuta a curiosare, Pietro a portarla via.
Mi accomodo sulla poltrona gemella, dopo aver riposto l’attizzatoio di metallo bruno. «Discutiamo, dunque.»
La Dama mi rivolge un largo sorriso. «Circolano voci interessanti, per chi sa udirle… voci che mi dicono che voi potreste nutrire un certo interesse per una cassa giunta al museo, un mese orsono.»
Il legno scoppietta.
«Dipende… qual è il prezzo?»
«Via, per chi mi avete presa? Sono nata nella culla della vita. Sono qui per avere informazioni cui nessuno crede, che vi hanno reso impopolare, non certo per rubare la vostra virtù! Non subito, almeno…» afferma. Mi guarda di sghembo, come sanno fare solo le donne. Dicono tutto, senza proferir parola. Creature d’un’altra era.
Ella riprende: «I ritratti non vi rendono giustizia, sapete?»
«Credete ai Vampiri, Signora?»
Le reazioni sono ciò che ci rivela, che ci rende umani. La Dama d’Oriente solleva le sopracciglia. Annuisce. Comincia, graziosa, a sfilarsi uno stivale.
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