La notizia è pessima per quanti sono interessati alla CCS (Carbon Capture and Storage ), cioè alle nuove tecnologie che sono in fase di sviluppo con lo scopo di catturare la CO2 emessa dagli impianti industriali e sequestrarla per sempre in profondità nel sottosuolo, in particolari formazioni geologiche.
Quattro delle maggiori società energetiche europee (la francese EDF, la tedesca RWE, la svedese Vattenfall e la spagnola Gas Natural Fenosa) hanno recentemente annunciato l'uscita da ZEP ( Zero Emissions Platform), la coalizione di imprese, associazioni e istituti di ricerca promossa dalla Commissione Europea appunto per lo sviluppo delle tecnologie di CCS. Perché - affermano le quattro aziende - la tecnologia è troppo costosa, e al momento non esistono in Europa le necessarie condizioni per attrarre gli investimenti necessari.
In effetti lo sviluppo della CCS - che è una delle tecnologie individuate come prioritarie dallo Strategic Energy Technology (SET) Plan della Commissione Ue - va avanti ormai da oltre un decennio con risultati ambivalenti.
La ZEP, per esempio, ha già 10 anni di vita, senza che abbia prodotto risultati di qualche rilievo tecnologico. Inoltre, a parte il caso delle quattro società in oggetto che hanno mandato una esplicita lettera di "dimissioni", ci sono numerose altre imprese che senza alcun annuncio stanno da tempo stringendo i cordoni della borsa. La stessa Enel (che sulla CCS ha in corso svariate partnership in giro per il mondo, per esempio in Cina, Corea del sud e Australia e che indirettamente partecipa anche a ZEP, tramite la controllata Endesa) dopo i successi ottenuti nel 2011 con l' impianto pilota di Brindisi ha praticamente fermato le attività in Italia.
Ovviamente non poteva mancare chi ha detto che le quattro società stavano in ZEP solo per questioni di immagine: dunque è un bene che se ne siano andate, perché così si rafforza il ruolo di chi vuole lavorare davvero.
In generale, però, è difficile trovare nella notizia risvolti positivi. Come si rende bene conto la stessa Commissione europea, che finora è stata tra i più convinti sostenitori di queste tecnologie e che sembra stia cominciando il percorso per arrivare anche su questa opzione a obiettivi vincolanti entro il 2030. Al riguardo è già iniziato l'iter di aggiornamento della cosiddetta direttiva CCS (direttiva 2009/31/CE ), necessario a soli 5 anni dalla sua approvazione: vedi il recentissimo documento preparatorio presentato dalla Direzione Generale Ue per il Clima.
Ma l'annuncio delle quattro grandi società energetiche ha convinto anche l'industria privata a darsi una mossa.
Eurelectric (l'associazione dell'industria elettrica europea) ha prontamente ribadito l'importanza delle tecnologie CCS, annunciando una specifica task force cui è affidato il compito di convincere i responsabili politici, poiché "seppure nelle attuali circostanze economiche la commercializzazione della tecnologia richiederà più tempo di quanto inizialmente sperato, l'industria elettrica resta convinta che - unitamente alle altre tecnologie a basse emissioni e all'efficienza energetica - la cattura e il sequestro geologico della CO2 avrà un ruolo importante da giocare per raggiungere gli obiettivi climatici comunitari".
[ Valter Cirillo]