Credo che gli organizzatori del Festival, al di là delle dichiarazioni formali, si stiano facendo quattro risate alle nostre spalle e si stringano la mano con gli sponsor, per l’operazione ‘Celentano’ perfettamente riuscita. Nonostante l’esecrabile e patetico monologo del molleggiato (ma non ci si poteva aspettare né di meno né di più dall’uomo delle foche), è chiaro che il Festival di Sanremo ieri ha avuto uno share davvero importante (48,51%), con grande giubilio di pubblicitari e showman che hanno centrato l’obiettivo della popolarità.
È chiaro comunque che il tutto appare assolutamente triste. Triste per un Festival che ormai è in piena decadenza e che si trascina da anni non già sulla musica di qualità (ammesso ne abbia mai prodotta), ma sulle ospitate di personaggi controversi come Roberto Benigni e Adriano Celentano, sulle opinioni politiche di questi ultimi, sulle loro paternali su come gli italiani che fanno fatica a tirare a fine mese dovrebbero vivere. E il tutto lautamente pagato a suon di centinaia di migliaia di euro.
Certo, Celentano ha dichiarato di voler devolvere il suo lautissimo compenso a favore delle famiglie povere e disagiate. Però domandiamoci in che modo è scaturita questa decisione. Mi pare dalla polemica sul suo cachet. Ora io non so se il cantante avesse avuto intenzione già da prima di fare opera di beneficenza, ma è chiaro che non è certamente simpatico fare beneficenza coi soldi degli altri, e solo di seguito a delle polemiche.
Intanto per la musica italiana, bisogna andare a ‘Chi l’ha visto?’. Perché di musica non si è parlato né ieri né oggi. Ma solo di Celentano, che di musica ne ha fatta parecchia, ma che nella nostra memoria di appassionati è ferma a quella degli anni ‘70. Del resto, il molleggiato non ha più prodotto un disco decente da due o tre decenni. Vive soprattutto di rendita e persino la sua innata dote di attore da commedia è finita nella soffitta per lasciare il posto a un ruolo di telepredicatore che — davvero — lascia basiti per la inconsistenza e incongruenza dei temi affrontati.
Ma negli anni della superficialità e della faziosità comunicativa, le uscite di Celentano sono quasi la normalità in un panorama televisivo povero e politicamente viziato. Il bello è che poi la sinistra accusa la destra di fomentare una cultura televisiva trash, tra Grandi Fratelli e Grandi Sorelle, quando è proprio dalla sua parte politica che arriva il peggio del peggio della televisione (Benigni, Celentano, Santoro ecc.). E del resto, poi, un Grande Fratello lo si può scegliere di guardare o non guardare, perché magari l’oggetto del programma è a noi (s)gradito. Ma se io volessi godermi (sic!) la più famosa gara canora della Tv italiana, sono necessariamente costretto a sorbirmi anche le teleprediche nosense di Celentano, chiaramente ed evidentemente con un indirizzo politico a senso unico. Un po’ come avveniva ai tempi di Beppe Grillo. Ma almeno il Grillo – bisogna ammetterlo – faceva morire dal ridere e le sue battute erano sul serio intelligenti.
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Ci sarebbe da arrabbiarsi, e io non lo sono. Detto sinceramente: non me ne frega un cazzo. Ma è certo che l’obiettivo — come dicevo più su — proprio perché c’è chi lo ha visto per rodersi il fegato o per semplice curiosità o perché adora le bordate celentanesche, è stato centrato. Forse gli autori del programma volevano il polverone, la polemica, i titoli indignati sui giornali cartacei e online, quintalate di commenti di fuoco sui social network. Del resto, esiste una regola non scritta nel mondo del business dell’intrattenimento e dello spettacolo: parlarne bene o parlarne male non è rilevante, l’importante è che se ne parli. Diverso sarebbe stato il discorso se ieri gli italiani avessero cambiato canale. In tal caso, l’effetto ‘fallimento’ sarebbe stato straordinariamente sismico.
di Martino © 2012 Il Jester