Mio marito, sarcasticamente, lo chiama il “cimitero”. È il cassettino della cucina dove conservo tutti i miei vecchi cellulari, perché faccio fatica a liberarmene.
Premetto che sono stata l’ultima in famiglia a possederne uno: perfino i due ragazzi lo hanno comperato assai prima di me, mio marito addirittura lo aveva dai tempi del sistema Etac, un vecchissimo Nokia, mi sembra che la sigla fosse 101, comunque molto simile all’immagine qui riprodotta: praticamente inesistente lo schermo e tastiera ridotta al minimo.
Non volevo assolutamente diventare schiava di quella nuova diavoleria, solo che in ufficio un bel giorno, per la reperibilità, mi consegnarono il dannato aggeggio. Se ben ricordo, allora fu pagato £ 259.000.
Un Nokia (allora andavano per la maggiore, assieme ai Motorola), il 7260, piccolo, maneggevole, elegantino nella sua veste rossa e nera,con una tastiera molto particolare, quasi spiraliforme. Oltre alle telefonate, potevo anche controllare la posta, quindi non avevo scuse: anche in ferie, pure se all’estero, ero sempre raggiungibile. C’era anche la possibilità di scattare fotografie, per quanto di qualità non eccelsa, aveva qualche giochino, una rubrica di circa 250 contatti, il minimo indispensabile -generalità e numero telefonico -, una memoria risibile, che consentiva la memorizzazione di non più di 20 SMS, senza la possibilità di espanderla. In più aveva la radio, la calcolatrice, la sveglia, una piccola agenda per gli impegni, la possibilità di scrivere con il famoso T9, una novità per l’epoca ed i trasferimento dati -foto, rubrica etc – a mezzo infrarossi.
Con queste dotazioni ridotte ai minimi termini, in standbay la carica durava giorni e giorni, nonostante la batteria fosse di soli 760 mAh…Comodissimo da portare in tasca, viste le dimensioni piccolissime ed il peso ridottissimo. Inoltre, robustissimo: mi sarà caduto un sacco di volte, ma non ha nemmeno una scalfittura.
E da quel momento è iniziata la mia dipendenza…
Archiviato in:Personale Tagged: cellulari, Nokia