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Cemento: Immensa gioia

Creato il 06 settembre 2010 da Zarizin

Daniele si era svegliato presto quella mattina. Lentamente era scivolato fuori dal letto, controllando ogni suo movimento per non svegliare Eva. Prima di dirigersi verso il bagno in punta di piedi, aveva osservato sua moglie mentre dormiva. Povera donna! Era così bella una volta…ora invece se ne stava lì, molle, arrotolata nel lenzuolo stropicciato come un bruco nel suo bozzolo. Il sole neonato che si infiltrava dalle fessure della tapparella le illuminava qualche millimetro di ricrescita bianca sui capelli dorati. Daniele non poté fare a meno di provare una tenerezza mista a infinita nostalgia. Sentiva un nodo alla gola: quanti ricordi con quella donna! Si ricordava ancora il loro primo incontro, quel pomeriggio, quel freddo, quell’empatia, quel prato. Ora tutti quei pensieri si ingroppavano come fili nella sua gola e gli facevano salire le lacrime agli occhi. Mandò giu. Arrivò in bagno, un grande bagno con i sanitari ingialliti. Mentre si lavava i denti si vide allo specchio. Ma chi sei? Non si riconosceva, non più. Cominciò a piangere, i singhiozzi si confondevano con il rumore dell’acqua, il gusto delle lacrime con quello del dentifricio.

Si asciugò occhi e bocca con l’asciugamano. Basta. Va tutto bene.

Prima di uscire si soffermò sulla porta della camera delle bambine. Dormivano, calme, inconsapevoli di tutto e di tutti. Russavano dolcemente, avevano ancora le guance rosa di purezza. Le salutò con il pensiero.

Uscì. C’era molto caldo, nonostante fossero le 7. La metropoli dormiva ancora, le strade erano pressoché deserte. Daniele imboccò il lungotevere Augusta.  Mentre camminava, pensava. Si ricordava di quando aveva portato Sofia sul lungofiume per la prima volta. Aveva tre anni, era entusiasta, felice. Era incantata dalle foglie degli alberi lungo il Tevere che giocavano con la luce del sole e cercava continuamente di afferrare quei cerchi luminosi e scintillanti sul pavimento. Non si possono prendere, sono fatti di luce, le aveva detto il padre. Ma Sofia non capiva e si gettava per terra cercando di estirpare quei tesori dalla strada.

Per qualche giorno Daniele si era domandato se la figlia fosse ritardata. I suoi dubbi erano cessati solo dopo averla portata da uno specialista che l’aveva rassicurato sulle normali capacità della bambina. Dopo quell’episodio però, Sofia aveva preso a guardarlo con sospetto, non si fidava più di lui. Ed era un vero peccato, perché, da quel momento, Daniele aveva cominciato a sentirsi fuori posto totalmente nella famiglia.

Con Eva le cose non andavano più bene da anni ormai, ma evitavano l’argomento. A dirla tutta, più che altro non si parlavano proprio. Le cene, ovvero l’unico momento di riunione famigliare, erano ogni giorno più pesanti. Erano diventate una routine insopportabile. Sedersi a tavola, dire la preghiera tutti insieme, mangiare. In silenzio. Olga, la domestica, faceva del suo meglio per rendere i pasti piacevoli preparando manicaretti degni di un re, ma il risultato non era che un’ulteriore, pesante amarezza nel cuore di Daniele, che avrebbe voluto gettare tutto nell’immondizia e correre nella sua camera a piangere. Proprio come i bambini. Invece restava a tavola, composto, ad ascoltare quel fottutissimo quiz show su rai uno. Una sera, dopo aver messo a letto Sofia, aveva chiesto a Eva cosa le mancasse per essere felice. Lei gli aveva risposto la sera dopo, con sacchetti pieni di abiti appena acquistati: ecco, ora non mi manca più nulla, gli aveva detto. Poi, probabilmente per garantire la sua serenità interiore, era corsa in bagno ed era tornata dopo mezz’ora vestita e truccata in modo volgarmente patetico. Quella notte avevano concepito Alice. Ora aveva due anni ed era la bambina più viziata del mondo. Aveva una stanza che straripava di bambole, costruzioni e peluches che la povera Olga si premurava di riordinare tutte le sere.

Daniele arrivò a ponte Risorgimento. Il suo sguardo stanco e lacrimoso si posò sulla targa che recitava: “Ponte in cemento armato ad unica arcata di 100 m di corda con freccia di 10 m”.

Si distese per terra, abbracciò il cemento. Era grigio e caldo… quasi materno. Si rotolò sul ponte, avanti e indietro, per assaporare il più a lungo possibile quella sensazione di calore. Sapeva che ora era protetto, sentiva che nessuno avrebbe più potuto toccarlo, che tra quelle braccia così forti non avrebbe più provato paura, tristezza…solo gioia, un’immensa gioia! E ballava sdraiato per terra, sudato e febbricitante, si mescolava con la strada, vi si avvolgeva, sprofondava. E poi ecco, un suono sordo. Improvvisamente tutto sfumava davanti ai suoi occhi, le case si appannavano di umidità, gli alberi si distorcevano, il fiume si contorceva in una spirale sfuocata. Il mondo restava a galla e lui cadeva, cadeva sempre più in profondità in quel mare grigio e caldo che lo abbracciava sempre più forte, fino a togliergli il respiro.

Il sangue cominciò a zampillare fuori dalla gola di Daniele, scivolò luccicando sulla strada e si confuse con il calore del cemento.

Nessuno ritrovò mai il suo corpo, solo una pistola con le sue impronte digitali su ponte Risorgimento e i giornali scrissero che un uomo si era gettato nel Tevere dopo essersi sparato.

Invece Daniele era sempre rimasto lì, su quel ponte, il cemento l’aveva preso con sé, l’aveva risucchiato una volta per tutte nel suo felice grembo materno e solo allora si era sentito vivo. Solo per quell’attimo aveva avuto la sensazione di essere un uomo, un uomo reale. Aveva percepito la sua carne sofferente, ascoltato il suo fiato ovattato che si affaticava mentre sprofondava sempre più in basso, verso il centro della Terra.

Solo allora Daniele, dopo una vita di lacrime, era riuscito finalmente a ridere.

E aveva riso ad alta voce, di una risata fragorosa, sguaiata, bestiale… insensata.



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