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“Cenerentola balla sola”: recensione di Tito Cauchi

Da Femina_versi @MicaelaTweets

MICAELA BALÌCE, CENERENTOLA BALLA  SOLA, Ed. Akkuaria, Catania 2010, Pagg.96, €. 12,00

Cenerentola balla sola è raccolta poetica di Micaela Balìce, dott.ssa in Pedagogia, Naturopata, specializzata in Fiori di Bach ed Erboristeria popolare. Organizzatrice feconda di conferenze e di eventi in temi sociali bio-compatibili, ha pubblicato testi su folklore, “su miti e simboli dell’antichità con particolare attenzione per gli archetipi del femminile”. La copertina di Maria Giusi Ricotti rappresentate giovane donna che fa la piroetta con un velo stando sulla sommità di una scala a gradini sospesi nel vuoto. In esergo dedica a Gino una citazione di Erica Jong “La cosa che indossiamo più a lungo/ è un cappotto di polvere./ Solo i canti di passione durano.”

Chicca Morone nella prefazione disegna un quadro intimo e intellettivo della Poetessa, mi pare che segnali l’importanza del senso di femminilità “che ha saputo viversi morendo a se stessa infinite volte”; e, richiamando la “polvere” di cui alla citazione di Jong, dice che la poesia non teme il silenzio, Micaela come Cenerentola, “balla sola” senza scoraggiarsi del tempo che trascorre.

Versi dal metro sciolto, generalmente raccolti in strofe, con numero variabile, che aleggiano un’atmosfera fantastica, di un’intima realtà fatta di riflessioni assertive e confessioni trasognanti, in cui traspare il pensiero della Poetessa a difesa del genere femminile. Una sorta di geografia dell’anima che disegna un grande poema di delicata tenerezza: “Vorrei saper volare via/ come una fata” (pag.14), in un mondo da sogno abitato da folletti, gnomi e fata, tra funghi e uno zampognaro. Stretta fra pareti gelide, che l’hanno irrobustita nel carattere dichiara, di rivelarsi con parole taglienti. Descrizioni surreali che saziano i suoi occhi: luna piena, colline scure, candidi fiocchi di neve; il canto di un usignolo è l’unica nota lieta del silenzio che si oppone a quella del disaccordo.

Vorrebbe realizzare qualche manufatto, ma sa usare solo le parole e a queste affida i suoi sentimenti movimentati da miti, in cui l’uomo si fa antico Eroe che non respinge la Madre Terra, ad essa si rivolge come all’ultimo rifugio sicuro. Lei, donna, trattiene tutta la sua rabbia che le esplode dentro, un dialogo che si fa soliloquio, poiché c’è da sciogliere un nodo alla base della propria esistenza: “Io non ti dico:/ ‘Ti amo’/ non perché non voglio./ Perché non so.” (pag.24). Le parole pesano come sassi, mentre desidererebbe che fossero come piume. Si ritorce dentro confrontandosi con la sua coscienza. Una sorta di velo per coprire in parte il suo intimo pudore, in una stasi che sa di eterno, lei contempla eppure vorrebbe partecipare. Vuole credere in se stessa, trovandosi amica.

Micaela Balìce sogna di essere una principessa difesa o soggiogata dal drago. Ricama la sua storia con la poesia; mi sembra un altalenarsi di chiari e scuri. Consapevole della sua introversione sa di essere duale, realtà e sogno. Una sorta di conosci te stesso, la massima delfica, per asserire l’essenza di un dio che sconosce l’essere donna. Alla ricerca della pace, della sua dimensione, della sua identità, ma senza farsi travolgere. Difende il suo stato di donna, rivendicando un ruolo importante da recitare nel teatro della vita, e non subire umiliazioni. “Cenerentola balla sola.// la sua gioia non sta nella scarpa/ né in un principe distratto,/ ma dentro me stessa.// E ridendo abbraccia una quercia/ come solo una strega può fare.” (78), o come un’ape che si posa sul fiore.

Rivendicare la sua libertà, il suo pudore, sentendosi vicina ad una famosa Emily (Dickinson), per la sua “incompresa solitudine,” (60). La Cenerentola forse sta anche in quel “Forse un giorno indosserò l’abito bianco/ e farò di una stanza/ il mondo” (61). Frasi cariche metaforicamente, così sembra, di un forte e dolce erotismo celato, ma ascolta la sua stessa voce, che rimane inascoltata o incompresa dall’altro (rivolta a C.), che ha eretto un muro di silenzio. Micaela Balìce, la Donna, la Cenerentola, rivendica un ruolo da comprimaria.

“Una terminologia accurata ed opportuna anche quando elementi occasionali fungono da filo conduttore o da pretesto per una poesia intimista che si appoggia all’inferenziale, dice senza dire, pulsa, diventa veicolo di memoria, scava nell’inconscio, mantenendo intatto l’alto profilo lirico di Cenerentola che balla sola.”*

Tito Cauchi

*Motivazione ottenuta al Premio Nazionale 2012, Poesia Edita Leandro Polverini – Anzio, all’assegnazione del 2° posto nella sezione poesia intimista. (NdA)


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