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Cenni storici sul Convento di San Cosimato, oggi OASI FRANCESCANA

Creato il 24 novembre 2011 da Vivaglisposi

Quando si valuta la location del proprio matrimonio è bene avere quante più informazioni possibili a riguardo. Nel caso dell'OASI FRANCESCANA le cose da sapere sono davvero molte, poichè situata presso un ex convento del 700... quello di San Cosimato.
Sotto la rupe di San Cosimato, sulla quale si erige il Convento di San Cosimato, le due rive dell’Aniene sono molto ravvicinate e costituiscono il punto più stretto nella omonima valle, per cui è logico dedurre che fin dell’antichità permettevano un agevole guado. A riprova di tali deduzioni è il ritrovamento di tracce di remote presenze umane, riportate alla luce in occasione dei lavori condotti nei primi anni del Novecento per realizzare la diga, sottostante la rupe, con cui l’Aniene è stato incanalato.
Nella parete della rupe sottostante il Convento sono scavati due gruppi di cavità, note da tempo immemorabile; nel primo gruppo è compresa un’ampia cavità naturale la cui parte più interna, intatta, permette di osservare la saldatura di migliaia di stalattiti e stalagmiti calcaree.
Accanto, un’altra cavità, chiusa con lastre di pietra, nella quale in passato, furono gettate migliaia di ossa umane che la tradizione attribuisce ai caduti di un’importante battaglia tra Cristiani e Saraceni combattuta nei pressi nel 916 ma, più probabilmente, provenienti dalle sepolture dei morti durante le pestilenze del 1500 – 1700. Proseguendo in discesa lungo il sentiero si incontrano altri piccoli ambienti modificati dall’uomo e quindi una cappella, intitolata a S. Michele Arcangelo.
Più in basso scendeva una lunga scalinata incisa nella roccia, in parte crollata: è la cosiddetta “scala dei Frati” che consentiva ai monaci eremitici e poi ai frati del Convento di andare ad attingere acqua o lavare i panni al fiume.
Il secondo gruppo di cavità viene raggiunto invece da una scala che inizia in fondo al parco dell’oasi francescana, con una galleria artificiale in ripida discesa al termine della quale si incontra un sistema di piccole cavità naturali nelle quali si riconoscono un altare, alcune vaschette e nicchie e il luogo di ritiro del Beato Bonaventura. Scendendo il ripidissimo sentiero si raggiunge un complesso di edifici che comprende la Cappella di San Benedetto.
La tradizione vuole che Benedetto da Norcia (480 – 547 circa) venne a dirigere il monaci della rupe a malincuore, nel 503; la norma della rettitudine di Benedetto, la Regola, cozzò ben presto con le consuetudini illecite dei monaci tanto che la leggenda parla di un tentato avvelenamento che sarebbe avvenuto proprio nelle grotte sottostanti il Convento.
La comunità monastica eresse successivamente una Chiesa e un Monastero, tra i ruderi romani soprastanti la rupe, dedicati ai Santi medici Cosma e Damiano; devastato da varie scorrerie tra il 545 e il 589, il Monastero venne distrutto dai Saraceni nel lX secolo.
San Cosimato, risorto come Abbazia cluniacense sotto Alberico, raggiunse grande potere e splendore; con la morte di Alberico il complesso iniziò un periodo di decadenza, perdendo molti possedimenti. Non avendo più forti risorse, il Monastero divenne facile preda delle mire dei potenti confinanti per poi finire, su decisione del Pontefice Gregorio Vll, possedimento dell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura.
San Cosimato venne incluso tra le “Regalia Beati Petri”, le proprietà inalienabili della Sede Apostolica e fu elevato da Celestino lll (1191 – 1198) ad Abbazia benedettina autonoma, dipendente direttamente dalla Santa Sede; anche Innocenzo lll confermò questa condizione.
Dal 1241 San Cosimato, impoveritosi spiritualmente e materialmente, fu aggregato all’Abbazia di San Sebastiano alle Catacombe di Roma dell’Ordine Cistercense. Negli anni a seguire la comunità monastica ebbe grande importanza nella vita amministrativa della zona.
Il Monastero rimase ai Cistercensi fino al 1407, anno in cui passò ai Frati Ambrosiani di San Clemente di Roma che provvidero ad un ampio restauro.
Nel 1600 iniziò il decadimento morale ed economico dell’Ordine di Sant’Ambrogio, tanto che nel 1643 venne soppresso da Papa Urbano Vlll; nel 1652 fu soppresso anche il Convento.
L’intero complesso fu abbandonato riducendosi a “ricettacolo di bestie”; rimase in questo stato fino al 1668 quando Papa Clemente lX accolse la richiesta di Don Lelio Orsini, Principe di Vicovaro, nonché amico e sostenitore dell’Ordine Francescano, che ne divenne proprietario. Con la venuta dei francescani iniziarono i lavori di ristrutturazione della Chiesa e delle grotte; furono completati a spese del nuovo signore di Vicovaro, il Conte Paolo Bolognetti, subentrato agli Orsini.
Il Convento invece, fu completamente riedificato tra il 1727 ed il 1735.
Nel 1808 il Convento fu soppresso secondo i dettami napoleonici e, dal 1873, incamerato dallo Stato Italiano che lo annesse al Comune di Vicovaro, fu utilizzato prima come ospedale, poi come lazzaretto, infine Comando del vicino campo di prigionia.
Nel 1925 venne affittato ai Frati e nel 1936, grazie al Podestà di Vicovaro, Antonio Santini, tornò definitivamente ai Frati della Provincia Romana; una lapide in marmo, presente all’interno dell’oasi francescana, ricorda questo definitivo passaggio.
Iniziarono così nuovi lavori di restauro che furono poi continuati negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta e poi ancora nel periodo del Giubileo del 2000.
In quegli anni il Convento si trasformò lentamente in luogo di accoglienza, trasformando i piani superiori in camere da letto e diventando a tutti gli effetti, Casa per ferie. La gestione alberghiera fu curata dai Frati stessi fino alla fine del 2005, quando affidarono tale gestione ad una cooperativa sociale del luogo. I Frati conservano la loro presenza nelle attività pastorali e di cura della comunità locale.
Gli acquedotti romani
La rupe di San Cosimato fu superata dagli acquedotti Acqua Marcia e Acqua Claudia per mezzo di una serie di gallerie scavate nella roccia. Gli antichi romani non tracciarono gallerie dritte attraverso il cuore della rupe, come peraltro la tecnologia in loro possesso lo poteva consentire, ma preferirono scavarle pochi metri all’interno della parete che strapiomba sul fiume Aniene: tecnica che, consentendo di operare attraverso numerose bocche di accesso, permise sia di ridurre i costi che di dimezzare i tempi di realizzazione.
Probabilmente non si resero però conto della scarsa resistenza della roccia e dei suoi cedimenti tanto da costringere gli stessi Romani ad intervenire pochi decenni dopo sostituendo lunghi tratti e regalandoci oggi un dedalo di gallerie, buona parte delle quali ancora percorribili per decine di metri.


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