di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista
Strettamente connessa al razzismo troviamo l’eugenetica, che altro non è che la riedizione dell’antico sogno, utopico, e cioè ateistico, di creare una umanità perfetta, assolutamente sana, senza macchia, che non abbisogni di un Dio Salvatore e di una Redenzione. L’eugenetica è presente già nella Repubblica ideale, sostanzialmente comunista, di Platone; nella “Città del sole” di Tommaso Campanella, anch’essa organizzata secondo criteri comunisti; nel sogno di alcuni maghi del Cinquecento, che credevano di poter applicare la selezione adottata per i cavalli, anche all’uomo. Soprattutto, l’eugenetica moderna, riporta, come si è accennato, al nome di Francis Galton, cugino di Charles Darwin, che nel 1883 coniò la parola “eugenics”. Le dottrine di Galton vennero attuate per la prima volta, con sistematicità e scientificità, negli Stati Uniti, alla fine dell’Ottocento, prima di essere riprese da Hitler che col suo programma eutanasico, volto a eliminare malati, anziani, mutilati e deformi, avrebbe definitivamente screditato una “scienza” che aveva goduto fino ad allora di grandi entusiasmi, non solo presso molti scienziati, ma anche presso diversi governi nel mondo. Nel “Mein Kampf”, dopo aver spiegato che lo Stato, la nazione, “dovrà impedire ai malati o ai difettosi” di procreare, Hitler aggiungeva: “Basterebbe per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla ad una condizione di sanità oggi pressoché incredibile” . Del resto Rudolf Hess era solito definire il nazismo una “biologia applicata”, mentre lo studioso Lifton definì il nazismo come una “biocrazia”, perché fondato su una visione di controllo assoluto dei processi biologici: utilizzando il termine darwiniano “selezione”, i nazisti cercarono di sostituirsi alla natura (selezione naturale) e a Dio, per essere loro a dirigere e controllare l’evoluzione umana. Tale biocrazia si esplicò con le leggi razziali sul matrimonio, con la creazione di luoghi appositi dove ariani e ariane di particolare bellezza e forza venivano spinti ad unirsi all’unico fine di procreare una discendenza “superiore”, con la sterilizzazione forzata, l’eutanasia di determinate categorie di inadatti e improduttivi, e l’utilizzo dell’aborto per le donne tedesche gravide di bambini non “puri”, o per le donne dell’est, dopo le conquiste seguite allo scoppio della guerra.
Ma queste idee, come si diceva, dovevano la loro fortuna, prima che ad Hitler, al pensiero e all’opera dello scienziato Francis Galton, il primo a proporre con una certa sistematicità e con un notevole seguito, l’idea di matrimoni selettivi, di segregazione dei disgenici, di sterilizzazione di barboni, poveri, malati, idioti, persone assai genericamente “inferiori”, allo scopo di impedirne la procreazione, per migliorare la razza, convinto che le caratteristiche “sia fisiche, sia mentali, sia morali” delle persone “fossero ereditarie”. Con Galton tutto divenne spiegabile in base all’ereditarietà, mettendo assolutamente tra parentesi i fattori ambientali e il mistero della libertà individuale, con la conseguenza di “convertire problemi come la criminalità, la prostituzione, la disoccupazione, l’improduttività” in fenomeni patologici, determinati esclusivamente dalla natura biologica. Il criterio di discriminazione proposto da Galton per identificare “adatti” e “inadatti” fu l’integrazione sociale, o più in breve, il successo, con la conseguenza inevitabile di una visione “classista” per cui poveri, emarginati, alcolizzati, spesso immigrati italiani o irlandesi o neri, vennero catalogati tra gli “inadatti”, tra le persone da isolare, da controllare, da sterilizzare, affinché il loro patrimonio genetico non si diffondesse. Il fine di Galton era quello di “guidare attraverso l’eugenetica il corso dell’evoluzione al fine di raggiungere nessun altro scopo se non il bene dell’umanità intera”, sacrificando se necessario i singoli individui, e affiancando alla selezione naturale, incompleta, una selezione artificiale, guidata dagli uomini superiori. Galton arrivò a negare il peccato originale come categoria teologica, e a riproporlo in chiave determinista, come una problematicità biologica, da eliminare in vista di una meritocrazia biologica. Keyles, insistendo sull’accento messianico dell’opera galtoniana, osserva che “Galton trovò nell’eugenetica un sostituto scientifico dell’ortodossia clericale, una sorta di fede secolarizzata, capace di avverare concretamente il sogno di un miglioramento del genere umano”, sino a prospettare, nella sua novella “Kantsaywhere” l’idea di un “paradiso eugenetico”, “dove vigono tre classi divise su base biopsichica, e dove l’ordine e la felicità sono garantiti dalla segregazione dei malati (disgenici) e dall’accoppiamento dei migliori (eugenici)” .
Si capisce molto bene che l’idea di fondo di Galton era assolutamente atea, materialista, determinista, e perché nello stesso tempo egli vedesse nella Chiesa il grande nemico, e nell’eugenetica una sorta di religione atea, civile, di salvezza, che avrebbe realizzato, come si diceva, la razza pura, la razza felice, intelligente, bella, giusta e persino ricca. Si discute molto se Galton abbia o meno preso spunto da Charles Darwin, ma sembra che sia piuttosto difficile negarlo, nonostante poi Galton sia andato ben al di là delle più estreme ipotesi del cugino. Certo è che alcune sue idee erano già in nuce nello stesso Darwin, il quale citava spesso e volentieri, e non per contraddirlo, ma per elogiarlo, il suo bizzarro parente. Scriveva Darwin: “Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione; costruiamo asili per pazzi, storpi e malati; istituiamo leggi per i poveri ed i nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto al vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana…Dobbiamo quindi sopportare l’effetto, indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani”. Si vede chiaramente in queste frasi come Darwin stigmatizzasse la vaccinazione, ma anche le “leggi per i poveri”, e il lavoro dei medici, quando tutto ciò fosse servito a mantenere in vita e propagare “membri più deboli e inferiori” della razza umana. Scriveva ancora: “Greg e Galton hanno molto insistito sull’ostacolo più importante, esistente nei paesi civilizzati, contro l’incremento di numero degli uomini di classe superiore, cioè sul fatto che i più poveri e negligenti, che sono spesso degradati dal vizio, quasi invariabilmente si sposano per primi, mentre i prudenti e frugali, che sono generalmente virtuosi anche in altri modi, si sposano in tarda età…Ovvero, come scrive Greg: ‘L’Irlandese imprevidente, squallido, senza ambizioni, si moltiplica come i conigli; lo scozzese frugale, previdente, pieno di autorispetto…trascorre i suoi migliori anni nella lotta e nel celibato… Nell’eterna lotta per l’esistenza è la razza inferiore e meno favorita che ha prevalso ed ha prevalso non ad opera delle sue buone qualità ma dei suoi difetti’” . Alla fine dell’ “Origine dell’uomo”, nell’ultima pagina, concludeva: “L’uomo investiga scrupolosamente il carattere e il pedigree dei suoi cavalli e dei suoi cani prima di accoppiarli. Ma quando si tratta del proprio matrimonio, raramente, o mai, si prende questa cura… Tuttavia con la selezione egli potrebbe agire in qualche modo non solo sulla struttura fisica e l’ossatura della sua prole, ma sulle loro qualità morali e intellettuali…L’avanzamento del benessere del genere umano è il problema più complesso: tutti coloro che non possono evitare la povertà per i propri figli dovrebbero evitare il matrimonio: infatti la povertà non è solo un grande male, ma tende al proprio incremento portando alla sconsideratezza del matrimonio. D’altra parte Galton ha osservato che, se il prudente evita il matrimonio mentre l’incauto si sposa, i membri inferiori tendono a soppiantare i membri superiori della società”. E’ evidente, leggendo questi pensieri, che Darwin fu talora portato ad abbracciare una visione per nulla lontana da quella dell’eugenetica, che contemplava l’esistenza di “membri superiori” e “membri inferiori”, matrimoni da impedire, e un certo disprezzo per le classi meno abbienti.
E’ anche vero, però, come scrive Cristian Fuschetto, citando Pichot, che “‘Darwin aveva l’abitudine di scrivere su un argomento tutto ed il suo contrario’, tant’è che tra i suoi numerosi lavori è possibile trovarne sia alcuni caratterizzati da un certo ‘umanismo’ sia altri ‘più favorevoli a Galton’”. Pichot aggiunge che “Darwin sembra essere stato in buon accordo con suo cugino Galton, e se non ha parlato propriamente di eugenetica è stato verosimilmente perché l’eugenetica è stata teorizzata dopo la sua morte”. Continua Fuschetto: “Premesso che sull’idea dell’ereditarietà delle facoltà mentali Darwin aveva posto pensiero già a partire dalla fine degli anni ’40, c’è da dire che poi, quando anche Galton cominciò ad occuparsi (più sistematicamente ed approfonditamente di lui) di questi problemi, di riferimenti e concessioni all’opera galtoniana ce ne furono (come si è visto, ndr) di espliciti”, sino agli ultimi anni di vita. Alfred Russell Wallace raccontò che in una delle sue ultime discussioni con Darwin, costui, in perfetto accordo col cugino, “si mostrò davvero molto preoccupato per il futuro dell’umanità, per il fatto che nella moderna civiltà la selezione naturale non ha gioco e perciò i più adatti non sopravvivono”. “L’affinità tra Galton e Darwin”, conclude Fuschetto, “emerge chiaramente anche da una lettera che il grande naturalista scrive al cugino in risposta alla richiesta di un parere su ‘Hereditary Genius’, dove Galton (in ossequio al dogma sociobiologico) pensa di aver dimostrato l’ereditarietà delle facoltà mentali: ‘…non credo di aver mai letto in tutta la mia vita qualcosa di più interessante ed originale… mi congratulo con te e ti esorto a continuare il tuo lavoro, convinto che sarà memorabile’ ” . Del resto è innegabile che Darwin si rifacesse da una parte al pensiero di Thomas Malthus, e dall’altra stimasse l’operato dell’amico e sostenitore Ernst Haeckel (1834-1919).
Malthus era stato un pastore anglicano, illuminista, autore, nel 1798, di un famoso “Saggio sulla popolazione” in cui tra le altre cose si biasimavano le riforme sociali, ritenute “dannose per la società, perché il miglioramento economico delle classi più povere avrebbe stimolato l’incremento demografico, cioè il peggiore dei mali”. Ogni politica a favore del benessere dei poveri era per Malthus un errore politico ed economico innegabile. Ernst Haeckel era invece uno zoologo tedesco grande sostenitore dell’evoluzione darwiniana, però all’interno di una sua visione filosofica monista e materialista. Il pensiero, per lui, non era altro che un prodotto dell’attività fisiologica e chimica del cervello. Haeckel era anche convinto della superiorità della razza indogermanica e della bontà del modello spartano. A Sparta, come si sa, i bambini malformati, i malati, i deboli, venivano eliminati, perché poco idonei all’arte della guerra. Tale selezione artificiale, spiegava Haeckel, aveva avuto il grande merito di favorire lo sviluppo di un popolo forte ed eroico. Affermare dunque una certa somiglianza e alcune contiguità tra determinate posizioni di Darwin e l’eugenetica di Galton, non vuole certamente dire buttare a mare le intuizioni che vi furono nella sua speculazione di naturalista, quanto notare come i cedimenti di Darwin ad un pensiero materialista, ideologico, e non scientifico, in certi momenti, lo portarono prima a non riconoscere l’unicità dell’uomo, riducendolo, nell’ “Origine dell’uomo”, ad un semplice animale, solo quantitativamente e non qualitativamente diverso dagli altri, e poi, coerentemente, a posizioni evidentemente disumane. L’errore di fondo, giova ripeterlo, sta nella volontà di Darwin, in alcuni momenti della sua vita, di identificare tutto l’uomo (si badi bene, tutto) nella sua animalità, dimenticando l’altra dimensione, non animale, e cioè l’esistenza dell’anima, e riducendo così l’idea di Dio, il senso morale, la capacità di astrazione, la libertà, la volontà…, a facoltà sì umane, ma anche, e solo in minor grado, animali. Così facendo Darwin riteneva di applicare modalità di indagine scientifiche a tutto l’uomo, come se pensiero, volontà, libertà ecc. fossero entità misurabili e studiabili scientificamente. L’errore, per dirla con altre parole, errore gravido di conseguenze filosofiche, che mai volle contrastare nell’opera del cugino, fu di voler rinchiudere il mistero dell’uomo nella sua teoria, che può al massimo spiegare l’origine fisica, essa sì animale, dell’uomo, ma non certo la sua totalità, la sua essenza spirituale.
In un modo o nell’altro, certo anche per l’appoggio concesso a Galton dal celebre zio, e da personaggi assai noti, come il matematico Bertrand Russell, il padre dell’ateologia moderna, e George Bernard Shaw, l’eugenetica si diffuse in breve, ad opera di biologi, medici, psichiatri e politici, ben prima dell’ascesa del nazismo, in molti paesi: Inghilterra, Usa, Francia, Belgio, Svizzera, Svezia, Olanda e alcune nazioni dell’America latina… In Germania, addirittura, gli studi eugenetici ebbero un forte impulso già sotto la Repubblica di Weimar, col finanziamento americano, e col sostegno di politici socialisti e di alcuni scienziati ebrei. Galton, che, come scrive S.J. Gould, era considerato all’epoca “uno dei massimi intelletti del suo tempo”, e che voleva dimostrare scientificamente la naturale e incolmabile inferiorità dei neri, e la superiorità su tutte della razza anglosassone, raggiunse il vertice della sua fama al Primo Congresso Internazionale di Eugenetica del 1912, allorché divenne un vero scienziato vate: le riviste più prestigiose, da “Nature”, al “Times”, si contendevano i suoi articoli, le sue disquisizioni sulla necessità di sostituire il vecchio libero arbitrio col più “aggiornato” determinismo. Nel 1902 ricevette la “Darwin Medal of the Royal Society” (a ennesima dimostrazione del fatto che i più autorevoli scienziati inglesi non vedevano conflitto tra alcune posizioni filosofiche di Darwin e quelle del cugino); nel 1908 partecipò alla “Darwin-Wallace Celebration” della Linnean Society, e nel 1910, per i suoi scritti sulla eugenetica, ottenne la “Copley Medal of the Royal Society” che però, a causa della sua salute inferma, fu ritirata per suo conto da Sir George Darwin, figlio del padre dell’evoluzionismo ed eugenista convinto, come del resto anche Leonard Darwin, anch’egli figlio del celebre naturalista, e presidente della britannica “Eugenics Education Society”. Ma il paese dove le teorie di Galton avrebbero fatto più fortuna furono gli Usa. Di questo parleremo nel prossimo articolo.
Da: “Perché non possiamo essere atei“ (Piemme 2009)