Definire Che casino… con Pierino l’ennesimo titolo apocrifo, figlio dei film barzelletta con protagonista Alvaro Vitali, è decisamente riduttivo. L’opera del navigato Albertini si classifica più propriamente come una rielaborazione atipica e (una sorta di reboot) del modello originale.
“Pierino, ospite perenne degli zii, ne combina di tutti i colori insieme al suo amico Pantera. Si va dagli scherzi goliardici agli amici di turno fino alle prime esperienze (catastrofiche) col gentil sesso, tutto rappresentato attraverso una serie di scenette autoconclusive e tormentoni comici”
Il velo fumettistico ed infantile che contraddistingue, almeno nella confezione, tutti i “pierini“ del periodo è ignorato per intenti o forse mera necessità: il Pierino interpretato dal Roberto Gallozzi non è protagonista assoluto, non studia (ma lavoricchia nel bar dello zio), non indossa ridicoli grembiuli né affronta l’ira di maestri e supplenti.
E’ un ragazzo comune, belloccio e quasi anonimo, inserito in un realtà che presumibilmente appartiene alla periferia romana. In questi termini, verrebbe quasi da pensare ad un’opera coraggiosa, che tenta di affrancarsi dai prodotti coevi per proporre impensabili riflessioni sociali. Al contrario, il film del regista di Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno ed Emanuelle Nera – opere che nel loro piccolo hanno segnato filoni come il decamerotico e l’esotico/erotico – si contraddistingue per una scurrilità di fondo eccezionale, degna delle migliori commedie militari di Nando Cicero. E’ l’evoluzione della scemenza tout-court, che cresce inarrestabile fino a divenire semplice tormentone o addirittura scatologico surrealismo (la sequenza del codice morse che Nino Terzo intona geniale a forza di flatulenze).
Trovate originali e scapestrate, avvolte da un’evidente e per nulla mascherata povertà scenografica. Ne consegue il riconoscimento di prodotto genuinamente bizzarro, inafferrabile, tutt’oggi inconcepibile, che fa della sua irresponsabilità narrativa il proprio punto di forza. Da segnalare: la splendida sigla d’apertura firmata da Nico Fidenco – più simile alla canzone di un cartone animato che di un film – e la presenza cult del perennemente esagitato Italo Vegliante, nel ruolo del “Pantera”.
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