Un po’ tutti concordano su un fatto: per scrivere occorre disciplina. Purtroppo, il termine disciplina viene associato all’idea di sedersi a una scrivania e ogni giorno, produrre qualcosa.
Non è affatto così.
Imporsi questo genere di condotta è senz’altro utile, se non altro perché impone all’individuo di rispettare un appuntamento. Credo tuttavia che la vera disciplina non sia qui.
E’ piuttosto il considerare lo scritto del giorno prima, con la freddezza e il distacco del chirurgo.
Qui lo scrittore esordiente scivola, casca e si fa male. Perché immagina un lettore naturalmente bendisposto, entusiasta, che legge e corre a congratularsi con lui, magari scrivendo nei commenti: “Non vedo l’ora di comprarlo”.
Così funziona forse in qualche bislacco, e idiota universo parallelo al nostro.
Se scrivi, e ogni parola e virgola ti sembra perfetta, i casi sono due: o sei un genio, oppure hai sbagliato tutto. E la seconda ipotesi è sempre quella giusta.
Il verbo più applicato dagli scrittori con la “S” maiuscola non è scrivere ma riscrivere. Cancellare; eliminare; togliere. Amputare. Devi sentire il dolore. Vedere il sangue. Osservare la tua creatura agitarsi, rantolare, e nonostante la pietà, non mostrarne alcuna e proseguire nell’azione chirurgica.
La pietà trova il suo pubblico preferito tra gli esordienti; per questo il 90% di costoro resta in quella condizione. Non hanno talento, e non perché non siano in grado di scrivere. Il talento è nella disciplina, nel taglio. Nel rivolgere uno sguardo non benevolo ma malevolo verso quanto si è scritto.
Il dolore, consegna parole pure e durissime.