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Che figura! L’anastrofe

Creato il 30 settembre 2010 da Fabry2010

Che figura! L’anastrofe
Godere dell’inversione, del capovolgimento, dominare la scena mentre il mondo si ribalta, come S.Pietro in questa tela di Caravaggio, dove c’è una rappresentazione esemplare dell’anastrofe.
San Pietro è raffigurato in un momento particolare del suo martirio, mentre i serventi si affannano per sollevare la croce. Il genio del Caravaggio sta, anche, nello scegliere il momento da rappresentare. E la scelta cade sul momento che esalta il ribaltamento delle aspettative. Il momento in cui il corpo di S. Pietro sta per essere rovesciato, in una sorta di suggestiva anastrofe visiva, per la volontà dell’apostolo di differenziare la sua dalla crocifissione del Cristo.
L’anastrofe come ribaltamento, come inversione, di parole, di sintagmi, ma anche di immagini, codici etici, valori e consuetudini.
Nei rétori d’ogni tempo l’anastrofe è vista come atto di ribellione, di cambiamento di prospettiva, di pensiero laterale, di rivoluzione dell’ordine costituito.
Forse non a caso un prototipo dell’ultraconservatorismo come Cicerone nel suo Rethorica ad C. Herennium definisce questa figura come perversio, realizzatrice (con la gemella dell’iperbato) della transgressio, perturbazione del normale ordine delle parole (e quindi del mondo).
Già, la gemella dell’iperbato. Dopo Cicerone i retori hanno profuso fiumi d’inchiostro sulla questione se anastrofe e iperbato siano essenzialmente la stessa figura, o invece una il genere e l’altra la specie. Solleticamenti che mi appassionano poco.
Quanto alla carica trasgressiva in ambito letterario, ho qualche dubbio. Di seguito ecco uno degli esempi di anastrofe più citati in poesia, esempio che non mi pare avere tutta questa valenza rivoluzionaria.

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
quel raggio di sole da nuvoli folti,
traluce de’ padri la fiera virtù

(A. Manzoni, Adelchi)

Per non parlare degli ormai ragnatelati modi di dire, come “cammin facendo”, “eccezion fatta”, “nessuno escluso”, “a Dio piacendo”.
Bah, costruzioni dal retrogusto rancido.

E quindi? Vale la pena di perder tempo su questa figura?
Forse sì, quando si abbandona la volontà di lavorare sulla funzione stilistico-retorica, con esiti da patina classicheggiante, per ricercare un maggior risalto semantico alla parola che, per effetto dell’inversione, va ad occupare una posizione metricamente rilevata in inizio o in fine di verso.

Come qui:
dell’anno e di tua vita il più bel fiore
(G. Leopardi, Il passero solitario)

O qui:
è così che il mio dono
t’offroquando sei triste

(U. Saba, A mia moglie)

Certo, qui la differenza con l’iperbato (inteso come cambio di sequenza sintattica di un certo numero di parole all’interno dell’enunciato) è proprio come ….la linea d’ombra.



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