Ancora Magritte. Lo so, rischio di diventare ripetitivo. Eppure Euclidean Promenades è il più calzante esempio di metalepsi che mi venga in mente.
Ribadisco il mio intento di non cedere a lascivie definitorie, ma è imprescindibile inquadrare la metalepsi come figura di sostituzione che produce un’incongruenza.
In campo visivo, poi, ricorre ogni volta che si gioca con la somiglianza formale, e la tempo stesso con l’incongruità rispetto al contesto: ed è questo contrasto che crea un effetto straniante e una moltiplicazione di senso. E quindi, chi più straniante di Magritte?
Meno semplice (e d conseguenza più stimolante) è il discorso sul piano più squisitamente semantico.
Qualcuno liquida la metalepsi come sostituzione di una parola con un suo sinonimo, usato però in un contesto improprio. Fortunatamente le cose si complicano perché passando a un livello sintagmatico i più concordano che la metalepsi è formata da più figure, spesso una metonimia intrecciata con sineddoche.
Un esempio? Ecco venirci in soccorso niente meno che l’Antico Testamento.
Mangerai il lavoro delle tue mani (Salmi, 127, v. 1).
Qui troviamo una metonimia con il classico meccanismo causa-effetto (il lavoro=il cibo, frutto del lavoro) e una sineddoche (mani=tutta la persona).
Poi la metalepsi sconfina spesso e volentieri nei territori della litote, fino ad assorbirla, secondo alcuni.
Certo, un celebre pezzo dai Promessi Sposi, Don Abbondio [….]non era nato con un cuor di leone, può rientrare a buon diritto anche nella metalepsi, come una forma particolare che, invece di affermare positivamente una cosa, nega assolutamente la cosa contraria.
Infine mi incuriosisce una certa teoria che parla di metalepsi quando uno scrittore abbandona il suo ruolo di “narratore dall’esterno” per presentarsi come testimone o come partecipe delle vicende raccontate.
Non so quanto c’entri questa teoria con le ultime tendenze di mesco lare più voci narrative nel testo, fino a quella che da un lato di intende come polifonia testuale o dall’altra parte del filo come auto fiction.
Penso come esempio all’ultimo romanzo di Mauro Covacich, Prima di sparire, da molti etichettato come esempio di autofiction all’italiana.
Non sono certo che questo abbia a che fare con la metalepsi, però un pezzo come il seguente qualche dubbio me lo lascia
“Maura scorge, in fondo, l’insegna al neon della farmacia di Porta Genova e , tre piani più su, la finestra illuminata di un uomo solo.
Mi alzo di scatto dalla scrivania, non volevo finire a Milano. E’ passato troppo poco tempo, non mi va di ripensarci. Questa cosa di Porta Genova la toglierò appena torno sul testo.”
Ecco, questo irrompere della voce dello scrittore nel testo è certo che produce quell’effetto di straniamento che, come si diceva prima, è caratteristico della nostra figura.