Magazine Cultura

Che figura! La preterizione

Creato il 03 dicembre 2010 da Fabry2010

Che figura! La preterizione
Il bar aux Folies Bergère di Manet è un quadro di cui commissionerei senz’altro il furto, se fossi vergognosamente ricco (e conseguentemente così egoista da tenerlo solo per me).
Manet lavora a questo dipinto negli ultimi anni di vita (il quadro è realizzato nel 1881-82, l’autore si spegne l’anno dopo), già quasi paralizzato agli arti inferiori. Ma ciò non gli impedisce di realizzare questo capolavoro.
Gli occhi della cameriera. In un primo momento è lì che viene attratto lo sguardo dell’osservatore. Mentre guardiamo gli occhi mesti della ragazza, il contorno a poco a poco prende consistenza e non si fa più contorno. In primo piano la natura morta, bottiglie , bicchiere con rosa, fruttiera di cristallo. Poi di riflesso iniziamo a vedere quello che l’artista sembrava non voler dipingere, o non porre in attenzione.
Non è questo il meccanismo della preterizione?
Il nome della figura significa letteralmente andare oltre, dal latino praeter-ire.
E qui Manet ci trascina decisamente oltre, direttamente dentro lo specchio, in quel mondo scintillante e lustrinato della Belle Epoque rappresentato dal salone delle Folies-Bergère, il locale più alla moda tra i borghesi parigini del tempo.
E ti pare di entrare nello sguardo della ragazza, di essere lo sguardo della ragazza, a faticare una paga per ore in piedi dietro un bancone, costretta in un abito stringatissimo, con davanti lo spettacolo frastornante e frastornato del salone gremito di dame inguantate e gentiluomini con la tuba, l’incandescenza delle luci che illuminano i sorrisi dei clienti e aumentano il sudore di chi deve lavorare per quei clienti.

Passare oltre, si diceva, più in generale, e anche in letteratura, è pacifico che la preterizione consiste nell’affermare che non si parlerà di qualcosa, e poi invece parlare a chiare lettere di quella cosa.
Tralasciando ancora un attimo la letteratura, è chiaro che questa figura potrebbe essere eletta ad archetipo della politica nostrana. Quante volte abbiamo sentito un nostro politico dichiarare stentoreamente che non è certo sua intenzione soffermarsi su quella certa cosa…e subito sbarabam! Mezz’ora di sproloquio tutto su quella cosa.

Ma, tornando alle lettere, troviamo certo esempi illustri di questa figura.
In poesia:
Cesare taccio che per ogni piaggia
Fece l’erbe sanguigne
Di lor vene, ove ‘l nostro ferro mise

(Petrarca, Canz., CXXVIII).

E in prosa:
Non ti dico che cosa ha combinato il cane: ha morso il postino e, poi, quando l’abbiamo rinchiuso si è mangiato il tappeto il tappeto della zia (I. Svevo).

Dare rilievo all’elemento che si finge di voler omettere credo sia un connotato peculiare della nostra cultura. Difatti viene ripreso spesso anche nel linguaggio della comunicazione.
Ho una sete che non ti dico.È un esempio lampante.
Del resto, ognuno di noi ha incontrato quello che ti dice non sai cosa mi è capitato, una roba che non ti dico, e poi invece, purtroppo, te lo dice, eccome se te lo dice, e pure con dovizia di particolari.
E chissà quante volte siamo stati noi, a dire quelle parole al nostro pazientissimo prossimo…



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine